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TURCHIA

La Turchia inonda di profughi l'Europa orientale

L'ondata di rifugiati siriani, che sta investendo l'Europa meridionale e centrale, parte tutta dalla Turchia. A cosa mira Erdogan? A vincere le prossime elezioni anticipate, dopo esser stato messo alle strette da nazionalisti e curdi. E a costruire una zona cuscinetto in Siria. I profughi ci vanno di mezzo e fuggono in Europa.

Editoriali 03_09_2015
Rifugiati siriani in Turchia

D’accordo, la Turchia è il Paese che ospita il numero maggiore di rifugiati siriani, 1.939.000 secondo le statistiche ufficiali dell’Unhcr. Come mai però - così all’improvviso - le due rotte dei migranti che partono dalla Turchia (quella via mare verso le isole greche e quella via terra che attraversa i Balcani) in questo mese di agosto stanno facendo registrare un flusso di migranti mai visto prima? In Grecia dall’inizio dell’anno sono sbarcati più di 200 mila migranti, quattro volte tanto il totale degli sbarchi dell’intero 2014. Frontex - l’agenzia europea sul controllo delle frontiere - dice che solo nell’ultima settimana sono stati oltre 23.000, a cui vanno aggiunti altri 9.400 migranti registrati alla frontiera tra Serbia e Ungheria, lo snodo cruciale della rotta balcanica.

Perché - dopo mesi e spesso addirittura anni già trascorsi in Turchia -  proprio adesso migliaia di siriani, insieme, stanno partendo per l’Europa Centrale, portandosi dietro anche altri migranti provenienti da Paesi come l’Afghanistan o il Pakistan? E come mai i trafficanti di uomini oggi possono svolgere i loro traffici alla luce del sole in un Paese che non è la Libia allo sbando, ma un membro della Nato con uno degli eserciti più potenti della regione? Sono domande retoriche: è abbastanza evidente che la Turchia non sta facendo nulla per fermare nemmeno chi, con mezzi semplicemente impossibili, prende il mare a Bodrum per raggiungere l’Europa. Anzi.

Bisognerebbe quindi cominciare a raccontarla insieme a quanto è accaduto negli ultimi mesi in Turchia quest’emergenza migranti. Perché il tema dei siriani è stato uno dei temi sui quali Recep Tayyip Erdogan è stato attaccato durante la campagna elettorale di primavera, quando ancora sognava la spallata con il suo Akp. Alla fine, lo scorso 7 giugno si è trovato con un Parlamento in cui dovrebbe fare i conti non solo con il partito filo-curdo Hdp (che a sorpresa ha superato la soglia di sbarramento), ma anche con l’estrema destra del Mhp, vicina ai Lupi Grigi, che proprio nel  Sud Est del Paese, dove si concentra il maggior numero di profughi, ha raccolto consensi al grido  «rimandiamoli a casa» (popolare a molte più latitudini di quanto si pensi). Incapace di trovare un accordo per la formazione di un governo di unità nazionale, l’Akp ha scelto la strada del ritorno alle urne il 1° novembre. Con il corollario - però - che adesso anche sul fronte siriano la priorità di Erdogan è diventata non perdere le elezioni.

Così - con l’incredibile avallo di Washington -, da metà luglio ha scelto di aderire alla «lotta al terrorismo» un po’ a modo suo. In cambio della possibilità per i caccia americani di usare la base di Incirlik per i raid contro l’Isis, Erdogan ha aggiunto di suo il regolamento dei conti con i curdi del Pkk: per non farsi scavalcare a destra dal Mhp (e prima che i curdi diventassero troppo forti al di là del confine siriano) ha riaperto la guerra, andando a bombardare il Pkk anche sulle montagne del Kurdistan iracheno. L’agenzia ufficiale Anadolu sbandiera già 900 guerriglieri uccisi nelle operazioni militari tra la Turchia e l’Iraq dal 22 luglio a oggi. Ma è ovvio che anche i curdi non stanno a guardare: sono praticamente quotidiane le notizie di attacchi a convogli militari turchi (anche se raccontare questa guerra è assolutamente vietato ad Ankara: due cronisti inglesi di Vice che stavano provando a farlo sono stati arrestati l’altro giorno). In più c’è l’altra idea brillante di Erdogan: creare una «zona cuscinetto» in un territorio oltre il confine siriano da ripulire dall’Isis, in cui spedire i profughi che si trovano oggi in Turchia. Come se nel Nord della Siria - anche tolto di mezzo l’Isis - oggi ci fosse qualcuno in grado di controllare qualcosa.

Mettetevi - allora - nei panni di un profugo siriano: con una prospettiva del genere, voi restereste nel Sudest della Turchia o provereste con qualsiasi mezzo a raggiungere l’Europa Centrale? Questo è quanto sta succedendo ed Erdogan non ha alcun interesse a scoraggiare l’esodo di massa dalle spiagge di Bodrum o lungo la rotta dei Balcani. Anche perché - forse - alla «zona cuscinetto» non ci crede nemmeno lui e questo modo di alleggerire la situazione insostenibile dei campi profughi turchi è molto più comodo.

Ma la domanda sulla Turchia resta sempre la stessa: come è possibile che sulla questione siriana la Nato lasci muovere un Paese membro dell’alleanza in una maniera così spregiudicata, e senza che nessuno gli chieda di rendere conto delle conseguenze delle sue azioni? Non c’è soluzione all’emergenza migranti senza la pace in Siria, è vero. Ma se la si vuole ottenere due parole ad Ankara un giorno bisognerà anche cominciare a dirle.