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LE CHIESE CONTRO OBAMA

L'alt di 40 leader religiosi alle "nozze" gay

Una importante "lettera aperta" denuncia l'alterazione della definizione del matrimonio eterosessuale monogamico come massima violazione della libertà religiosa.

Attualità 20_01_2012
Mons. Timothy M. Dolan

 

«La promozione e la protezione del matrimonio - l’unione di un uomo e di una donna che divengono marito e moglie - è una questione di bene comune e serve il benessere della coppia, dei figli, della società civile e di tutto il popolo. Il significato e il valore del matrimonio precedono e trascendono tutte le società, i governi o le comunità religiose particolari. Il matrimonio è un bene universale ed è l’istituto che fonda ogni società. Esso è tutt’uno con la natura della persona umana in quanto uomo e donna, ed è tutt’uno con quell’essenziale compito che è mettere al mondo i figli e allevarli».

Inizia così la «lettera aperta dei capi religiosi degli Stati uniti d’America a tutti gli americani» che, intitolata Marriage and Religious Freedom: Fundamental Goods That Stand or Fall Together ("Il matrimonio e la libertà religiosa: bene fondativi che si reggono o che crollano assieme"), è stata diffusa il 12 gennaio da una quarantina tra vescovi e capi delle più diverse confessioni e denominazioni cristiane presenti oggi negli Stati Uniti, nonché di alcune congregazioni dell’ebraismo. Di fatto, le firme che accompagnano il documento esauriscono lo spettro dell’"offerta" cristiana del Paese in tutte le sue sfaccettature e la loro autorevolezza ne impegna formalmente le Chiese e le sinagoghe. Vi sono infatti il cardinale Timothy M. Dolan [nella foto], arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale cattolica statunitense (USCCB), il reverendo Leith Anderson presidente dell’Associazione nazionale degli evangelicali, il vescovo John F. Bradosky della Chiesa luterana nordamericana, il vescovo H. David Burton che presiede la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni cioè i mormoni, il vescovo Ronald W. Carpenter sr. che presiede la Chiesa internazionale pentecostale della santità, il rabbino Abba Cohen vicepresidente per gli affari federali nonché direttore della sede di Washington della congregazione Agudath Israel of America, Nathan J. Diament direttore esecutivo per le politiche pubbliche dell’Unione delle congregazioni ebraiche ortodosse degli USA, l’arcivescovo della Chiesa anglicana in America Settentrionale Robert Duncan titolare della diocesi di Pittsburgh, William J. Hamel presidente della Libera Chiesa evangelicale degli USA, Matthew Harrison, presidente della Chiesa luterana-Sinodo del Missouri, e poi numerosi responsabili di Chiese battiste, wesleyane e metodiste, nonché delle Assemblee di Dio e dell’Esercito della salvezza.

I firmatari si dicono consapevoli delle «gravi conseguenze che derivano dall’alterazione» della definizione di matrimonio che oggi il mondo omosessualista sta cercando di ottenere sovente con la complicità di eminenti organismi internazionali, per esempio le Nazioni Unite, e della politica, segnatamente l’Amministrazione statunitense guidata dal presidente Barack Obama. Perché la difesa del matrimonio eterosessuale monogamico è un bastione della prima di tutte le libertà umane (quello alla vita è il primo dei diritti umani), vale a dire la libertà religiosa.

Sono, afferma il documento, facce della medesima medaglia. Infatti, che l’unico matrimonio possibile sia sempre e solo quello naturale è un principio che difende senza compromessi la libertà delle persone ad adorare Dio in piena coscienza e responsabilità come prima e fondamentale esperienza umana giacché corrisponde all’intima struttura, data, della natura dell’uomo. E difendere prima di ogni altra libertà umana quella religiosa significa garantire alla persona quella sovranità intangibile della coscienza che, in quanto dono inalienabile del Creatore e tribunale in cui Egli giudica l’uomo, trova nel rapporto autentico con Dio l’esaltazione massima e la pienezza dell’umanità (di cui il matrimonio monogamico eterosessuale è manifestazione tra le supreme). Il matrimonio naturale e la libertà religiosa sono cioè il modo più vero della relazione tra Dio e uomo, e impattano fortemente sul piano sociale corrispondendo peculiarmente alla natura stessa del cristianesimo, che è anzitutto e soprattutto la fede nell’Incarnazione.

La lettera aperta dei leader religiosi americani è dunque uno straordinario documento ecumenico di dottrina sociale cristiana, anche nel segno della continua ricerca di quell’"Orthodox Christanity" che da sempre le comunità religiose nordamericane perseguono per coltivare l’unità su ciò che è dottrinalmente irrinunciabile per chi fra loro è cristiano e dell’altrettanto continuo scavo nella realtà di quel "giudeo-cristianesimo" che accomuna chi è cristiano ai suoi "fratelli maggiori".

Del resto, il documento è anche un supremo manifesto politico. Matrimonio naturale e libertà religiosa sono, dice la "lettera aperta", aspetti della medesimo impegno pubblico per il bene comune, non - come ideologicamente cerca di far passare la cultura relativista che dell’omosessualismo fa oggi una bandiera prediletta - un semplice fatto privato. Gli Stati Uniti stanno vivendo un anno di elezioni cruciali e questo documento giunge dunque con un tempismo perfetto.

Ma i cattolici hanno un motivo in più per apprezzare in profondità questa iniziativa di sincera "preghiera nell’azione", sanamente ecumenica. La "lettera aperta" ricalca quella Dichiarazione di Manhattan che ormai è un vero e proprio movimento di opinione diffuso in tutto il mondo e che più di 150 leader tra protestanti, cattolici e ortodossi lanciarono il 20 novembre 2009 in difesa della «sacralità della vita, del matrimonio tradizionale e della libertà religiosa». Ma va pure oltre.
Da quel tardo 2009, infatti, di acqua sotto i ponti ne è passata molta. L’Amministrazione Obama ha compiuto passi da giganti nell’offensiva aperta contro i "princìpi non negoziabili" e oggi è l’ora in cui i suoi avversari politici si contano per trovare l’antagonista più adatto a fermarlo. Il peso specificamente politico della “lettera parta” è dunque ancora più forte.

Lo scontro fra la Casa Bianca e la Chiesa cattolica che è negli stati Uniti ha raggiunto infatti vertici mai toccati prima. Fra le righe lo ha ricordato ieri anche il Papa. Mai prima di ora il capo dei vescovi cattolici statunitensi aveva chiesto a un governo americano di annullare immediatamente quanto fatto, anche legislativamente, su questioni eticamente sensibili, come ha fatto mons. Dolan. Mai un capo dei vescovi statunitensi si era visto costretto a istituire ex novo, in promptu e ad hoc un comitato per la difesa della libertà religiosa - minacciata dalla nuova cultura dominante e da precise leggi cattive -, come si è trovato a dover fare mons. Dolan oggi, e non per occuparsi di qualche angolo del mondo dove il terrorismo è all’ordine del giorno, ma della patria delle "democrazia compiuta", gli Stati Uniti.

L’arcivescovo di New York dice e ripete che mai come ora il rischio di uno scontro frontale fra Stato e Chiesa è negli Stati Uniti prospettiva reale e forse imminente. E proprio queste stesse esatte parole del capo dei vescovi cattolici statunitensi sono quelle usate anche nella "lettera aperta" dove decine di leader religiosi non cattolici si accodano all’ordine del giorno stabilito dal capo dei cattolici americani.
Peraltro, da parte cattolica, quella "lettera aperta" reca le firme dei protagonisti diretti del dissidio con la Casa Bianca: oltre a mons. Dolan, mons. Salvatore J. Cordileone, vescovo di Oakland, in California, chairman del subcomitato istituito dalla USCCB per la promozione e la difesa del matrimonio; mons. William E. Lori, vescovo di Bridgeport, nel Connecticut, presidente del Comitato ad hoc per la libertà religiosa eretto dall’USCCB; nonché mons. Kevin C. Rhoades, vescovo di Fort Wayne-South Bend in Indiana, chairman del Comitato dell'USCCB per il laicato, il matrimonio, la vita familiare e i giovani.

In tempi di elezioni decisive anche per ciò su cui non è mai possibile mercanteggiare, le Chiese giudeo-cristiane guidano la controffensiva al relativismo in nome della verità naturale, ma è la Chiesa cattolica il condottiero.