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70 anni dopo

Le lacrime della Madonna di Siracusa, un richiamo per l’oggi

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Quattro giorni di lacrimazioni, dal 29 agosto all’1 settembre 1953, da un quadretto di Maria; centinaia di guarigioni, innumerevoli testimoni dei fatti e una commissione medica ad attestarne l’autenticità. Segni per un ritorno a Dio.

Ecclesia 31_08_2023

In questi giorni ricorre il 70° anniversario delle lacrimazioni della Madonna di Siracusa, iniziate il 29 agosto e concluse l’1 settembre 1953. Furono lacrime inspiegabili per la scienza umana, sgorganti da un quadretto in gesso del Cuore Immacolato di Maria, dono di nozze per una giovane coppia di sposi: Angelo Iannuso, bracciante agricolo di 27 anni, e Antonina Giusto, casalinga di 20 anni.

La donna, incinta del primo dei suoi quattro figli, stava avendo una gravidanza piuttosto difficile, poiché soffriva di tossicosi gravidica, che la costringeva spesso a letto. La mattina del 29 agosto 1953, mentre era nella sua modesta casa in via degli Orti, vide che dal quadretto della Madonna - posto sulla testata del letto, come capezzale - scendevano delle lacrime. Fu l’inizio di una serie di lacrimazioni (se ne contarono diverse decine) che si protrassero per quattro giorni. La voce del prodigio si sparse con estrema rapidità fin da quel 29 agosto, attirando a casa Iannuso e dintorni migliaia di persone di ogni estrazione sociale, credenti e non credenti. Innumerevoli i testimoni che poterono vedere le lacrimazioni da vicino – anche grazie alla successiva esposizione del quadretto all’esterno della casa – e tanti coloro che asciugarono le lacrime con batuffoli di cotone, così da conservare un po’ di quelle preziose reliquie.

Le lacrimazioni non furono l’unico segno celeste di quei giorni. Ad esse si accompagnarono centinaia di guarigioni fisiche giudicate straordinarie da una commissione medica istituita ad hoc: solo nei primi due mesi e mezzo dall’inizio dei fatti, furono registrati circa 300 casi di persone guarite in modo inspiegabile. La prima guarita fu la stessa Antonina Giusto, che a seguito delle lacrimazioni non ebbe più disturbi legati alla gravidanza, né ne avrà per le seguenti. Tra i prodigi più noti, quello in favore di una bimba siracusana di tre anni, Enza Moncada, che dall’età di un anno aveva il braccio destro paralizzato: la piccola, condotta davanti all’effigie miracolosa, iniziò a muovere il braccio dopo che le fu applicato un po’ di cotone imbevuto delle lacrime della Madre celeste.

Le misteriose lacrime furono oggetto di analisi scientifiche, iniziate l’1 settembre 1953. La commissione medica che condusse le analisi, presieduta dal dottor Michele Cassola, provvide innanzitutto ad asciugare il manufatto in gesso. Poco dopo, intorno alle 11 dell’1 settembre, i membri della commissione poterono constatare con i loro occhi, per circa 15 minuti, una nuova lacrimazione. Che fu anche l’ultima, ma più che sufficiente perché i medici potessero raccogliere circa un centimetro cubo di liquido, poi analizzato in laboratorio. In sintesi, nella sua relazione del 9 settembre 1953, dopo aver confrontato le lacrime sgorgate dal quadretto di Maria con quelle di un adulto (lo stesso Cassola) e di un bambino, la commissione concluse che «l’aspetto, l’alcalinità e la composizione inducono a far ritenere il liquido esaminato di analoga composizione del secreto lacrimale umano». Si trattava perciò di lacrime umane.

Tra i quattro medici che sottoscrissero la relazione figurava anche il dottor Mario Marletta, che in seguito avrebbe spiegato per iscritto a una trasmissione: «Venne constatato che il liquido sgorgato dal quadretto della Madonna non risultava derivante da fenomeni di umidità, condensazione o trasudazione, e che la statuina di gesso messa su un supporto di vetro risultava completamente asciutta nella parte posteriore. Il liquido sgorgante dal quadretto proveniva dagli occhi e soltanto dagli occhi. Talora si aveva l’impressione che gli occhi divenissero turgidi per le lacrime. Vorrei anche sottolineare il fatto che tra le persone chiamate a far parte della commissione qualcuno era notoriamente non dico non praticante, ma addirittura non credente».

Di fronte all’evidenza dei fatti, il vescovo di Siracusa, mons. Ettore Baranzini, il cui comportamento nei giorni delle lacrimazioni era stato orientato da un senso di attesa e prudenza, ruppe progressivamente gli indugi. Un passo importante fu l’istituzione, il 22 settembre, di un tribunale speciale ecclesiastico (Tribunal Metropolitanum Interdiocesanum. Super veritate factorum relate ad imaginem B. M. Virginis), che ascoltò 189 testimoni. Tutta la documentazione sui fatti legati alle lacrimazioni – comprensiva delle deposizioni dei testimoni, delle analisi mediche sul liquido, di quelle tecniche sul quadretto e di varie fotografie – fu quindi inviata al Sant’Uffizio e ai vescovi siciliani. Questi ultimi, riunitisi a Bagheria il 12 dicembre 1953, «vagliate attentamente le relative testimonianze nei documenti originali, hanno concluso unanimemente col giudizio che non si può mettere in dubbio la realtà della lacrimazione». E questo fu certamente un altro fatto straordinario – ci riferiamo alla rapida unanimità dei vescovi siciliani sulla questione – se si pensa che tante manifestazioni mariane, comprese quelle poi riconosciute ufficialmente, hanno incontrato proprio all’interno della Chiesa non solo una giusta prudenza, ma anche la resistenza accanita di alcuni.

I vescovi siciliani, nel loro comunicato ufficiale, aggiungevano: «Fanno voti che tale manifestazione della Madre celeste ecciti tutti a salutare penitenza ed a più viva devozione verso il Cuore Immacolato di Maria, auspicando la sollecita costruzione di un santuario che perpetui la memoria del prodigio».

I fatti di Siracusa si inserivano nel contesto storico del secondo dopoguerra, con la forte contrapposizione politico-ideologica simboleggiata dalla cortina di ferro e la sempre presente minaccia di un nuovo conflitto. Era un mondo, sia ad Est che ad Ovest, in generale già molto secolarizzato, in cui uno dei due blocchi – quello sovietico – si fondava addirittura su un’ideologia apertamente atea. Non per nulla, 36 anni prima, a Fatima, la Madonna era venuta a preannunciare la necessità della Comunione riparatrice nei primi sabati del mese e quella di consacrare la Russia al suo Cuore Immacolato affinché la Russia stessa non spargesse «i suoi errori per il mondo», come poi puntualmente è avvenuto perché l’avvertimento celeste è rimasto in buona parte inascoltato.

«Comprenderanno gli uomini l’arcano linguaggio di quelle lacrime?», chiedeva Pio XII nel radiomessaggio del 17 ottobre 1954 al Congresso mariano regionale della Sicilia. E quarant’anni dopo, un altro papa, Giovanni Paolo II, nell’omelia per la dedicazione del Santuario della Madonna delle Lacrime, spiegava che quelle «sono lacrime di dolore per quanti rifiutano l’amore di Dio», ma anche «lacrime di preghiera», frutto dell’intercessione della Madre celeste per i suoi figli, e «lacrime di speranza, che sciolgono la durezza dei cuori e li aprono all’incontro con Cristo Redentore».

Un incontro di cui fece esperienza tra gli altri il già menzionato dottor Cassola, ateo ai tempi delle lacrimazioni. Sul letto di morte, nel 1973, quel medico ottenne di poter stringere al petto il reliquiario in cui sono tuttora contenute alcune delle lacrime prelevate dal quadretto di Maria. Quindi, domandò un confessore e disse: «Prima, vedevo davanti a me come una muraglia invalicabile. Ora quella muraglia, grazie al pianto della Madonna, è crollata». Un richiamo alla conversione, che è sempre attuale.

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