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EL PASO E DAYTON

Le stragi negli Usa, il lato oscuro della libertà

Trenta morti nello spazio di un giorno, nelle stragi di El Paso (Texas) e Dayton (Ohio) hanno riacceso l’attenzione su questo drammatico e inspiegabile fenomeno tipico degli Stati Uniti. La dinamica è sempre simile, dalla prima nota sparatoria nella scuola di Columbine fino alle ultime stragi. Non è colpa di Trump. Il motivo è più profondo.

Esteri 06_08_2019
El Paso, fiori per le vittime

Trenta morti nello spazio di un giorno, nelle stragi di El Paso (Texas) e Dayton (Ohio) hanno riacceso l’attenzione su questo drammatico e inspiegabile fenomeno tipico degli Stati Uniti. La dinamica è sempre simile, dalla prima nota sparatoria nella scuola di Columbine fino alle ultime stragi: un attentatore solitario, spesso adolescente, un movente oscuro fino al momento in cui decide di sparare e spesso confuso anche dopo che l’ha commessa, un’arma spesso illegale ottenuta però con facilità. La volontà dello stragista è sempre quella di fare il maggior numero possibile di morti, colpendo indiscriminatamente. Nel massacro di Dayton è morta anche la sorella dell’attentatore, accompagnata da lui stesso in auto nel luogo del delitto.

I media, almeno in Italia, considerano il presidente statunitense Donald Trump come il “mandante morale” di queste stragi. E la Alt Right, l’estrema destra americana, come l’ideologia che le motiva. I media perdono molte inibizioni, in questo caso. Mentre c’è estrema riluttanza, tuttora, a parlare di “terrorismo islamico”, La Repubblica, per fare l’esempio più eclatante, ieri titolava in prima pagina “Usa, le stragi dell’uomo bianco”. La realtà è meno politica di quanto si creda. Donald Trump è l’ultimo presidente, ma le stragi sono un fenomeno di vecchia data e la loro frequenza non varia al variare della parte politica che va al governo. Consultando le cifre sul Gun Violence Archive, dalla strage nella scuola elementare di Sandy Hook del 14 dicembre 2012 (20 bambini e 6 adulti assassinati, uno shock nazionale senza precedenti) fino ad oggi sono state compiute 2180 stragi con armi da fuoco.

Su 2180 stragi, solo poche balzano agli onori della cronaca. Le più celebri, che hanno avuto una copertura mediatica mondiale, sono quelle di Orlando del 12 giugno 2016 (50 morti), Las Vegas del 1 ottobre 2017 (59 morti), la scuola superiore di Parkland del 14 febbraio 2018 (17 morti). In totale le stragi di massa con armi da fuoco hanno provocato 2457 morti e 9130 feriti. Sono pari a circa il 2% delle vittime di crimini commessi con armi da fuoco. Le stragi di massa restano una costante in un quadro che registra un sensibile miglioramento: una forte diminuzione dei delitti e dei crimini con armi da fuoco negli ultimi 20 anni in tutti gli Stati americani.

Se queste sono le cifre e le dimensioni del fenomeno, la sua frequenza dimostra ben pochi legami con una particolare amministrazione. Insomma, non è pura e semplice colpa di Trump, se sotto Obama si è registrato il maggior numero di stragi e di vittime e in tendenza crescente. Dopo Sandy Hook, alla fine del 2012, nel 2013 si registrano 253 episodi con 288 morti. Nel 2014 salgono a 269 fatti di sangue con 265 morti (ma 1079 feriti). Nel 2015 il numero dei massacri sale ancora a 335 con 368 morti e 1337 feriti. Nel 2016 si registra il picco: 382 sparatorie, 451 morti e 1538 feriti. Paradossalmente, proprio nei primi anni di Trump si registra un lieve calo, non un aumento: 346 sparatorie nel 2017 (437 le vittime), 340 nel 2018 (373 vittime) e nei primi sette mesi del 2019 le stragi con armi da fuoco sono già 255 con 275 morti e 1065 feriti.

Il movente non è sempre la Alt Right. Lo stragista di Orlando era Omar Mateen, musulmano, che durante l’attentato ha giurato fedeltà allo Stato Islamico. Lo stragista di Las Vegas ha colpito per motivi ignoti, probabilmente per una situazione debitoria insostenibile, causata dalla sua passione per il gioco. Il suo bersaglio, un concerto country, solitamente frequentato da un pubblico conservatore o a-politico, non può essere identificato come il bersaglio dell’odio di un estremista di destra. L’attentatore della scuola superiore di Parkland ha lasciato messaggi di odio razzista, ma la causa immediata va rintracciata nella sua espulsione da quella stessa scuola in cui ha sparato. Nell’ultima strage di El Paso l’assassino era dichiaratamente razzista, ma in quella di Dayton l’aggressore pare fosse di sinistra, stando ai suoi stessi tweet.

Se la semplificazione politica e ideologica non spiega il fenomeno (semmai è buona solo per strumentalizzarlo), non si può neppure cascare nel tranello di invertire i mezzi con i fini. Le stragi sono commesse con armi da fuoco, ma non è colpa delle armi da fuoco, come sostengono coloro, soprattutto fra i Democratici, che vorrebbero abolire o emendare il Secondo Emendamento, cioè la tradizionale libertà dei cittadini statunitensi di portare armi. I luoghi delle stragi sono quasi sempre “gun free”, aree in cui è vietato tenere un’arma. L’aggressore si ritrova spesso nella condizione di essere l’unico armato che spara a una massa di indifesi, quasi sempre con armi procurate illegalmente, oppure comprate legalmente, ma illegalmente modificate per aumentarne la letalità. Dove sono presenti guardie armate, come nell’ultimo caso di Dayton, l’aggressore viene neutralizzato in poco tempo, meno di un minuto in questo caso: i conservatori non hanno tutti i torti nel sottolineare anche questo aspetto, chiedendo più guardie armate e più possibilità dei privati cittadini di difendersi da questi aggressori.

Non c’è dunque un’unica causa politica (Trump), né ideologica (Alt Right) e neppure materiale (diffusione delle armi da fuoco). La volontà di commettere una strage è una scelta deliberata del male, da parte di uomini lucidi, capaci di intendere e di volere e di organizzare nei minimi dettagli un attentato. Più difficile comprendere perché questo tipo di stragi sia così frequente negli Usa, molto più che in altre realtà, tanto da diventare una triste caratteristica nordamericana. Un’ipotesi è che si tratti del lato oscuro della libertà. Gli Usa sono da sempre terra di opportunità, un paese in cui ciascuno è libero di realizzare i suoi sogni, avviando un’impresa o tentando di fondare un’utopia (come le prime colonie religiose o le prime comunità socialiste). Al tempo stesso, è una terra dove alcuni realizzano i loro incubi, utopie negative in cui, con lo stesso spirito di intraprendenza e iniziativa, si eliminano i “cattivi” presunti e immaginari.