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CONTINENTE NERO

Liberia, anche il virus ebola alimenta la corruzione

Lotta al virus ebola: la Croce Rossa Internazionale denuncia che, sui 100 milioni affidati al personale di Liberia, Sierra Leone e Guinea, più di 5 mancano all'appello. Di questi 2,7 sono spariti in Liberia. Con la presidente Ellen Johnson Sirleaf doveva diventare un modello. Invece continua ad essere un paese arretrato perché corrotto.

Esteri 08_11_2017
Liberia, lotta all'ebola durante l'epidemia

La Liberia è uno dei tre stati dell’Africa occidentale – Guinea Conakry e Sierra Leone gli altri due – colpiti tra il 2014 e il 2016 dalla peggiore epidemia di Ebola a memoria d’uomo. Le vittime in totale furono 11.325, 4.810 delle quali in Liberia. I sistemi sanitari dei tre paesi erano del tutto inadeguati. All’epoca la Liberia disponeva di un solo medico e di 80 posti letto ogni 100.000 abitanti, Sierra Leone e Guinea erano più o meno nelle stesse condizioni. Presero in mano la situazione l’Organizzazione mondiale della sanità, Medici senza frontiere, la Croce Rossa, le multinazionali presenti sul territorio. Solo grazie all’intervento internazionale, costato centinaia di milioni di dollari e non poche vite umane, fu possibile far fronte alla crisi, contenere i danni, evitare che l’epidemia si estendesse ad altri stati.

Ma, mentre altri lottavano per salvare vite umane, c’era chi invece approfittava dell’eccezionale afflusso di denaro. La Croce Rossa Internazionale ha appena rivelato che dei 100 milioni affidati al proprio personale dei tre paesi, più di cinque sono andati perduti. La Croce Rossa della Sierra Leone, con la complicità di impiegati bancari locali, ha fatto sparire oltre due milioni di dollari. Quella della Guinea, dove le indagini sono tuttora in corso, è responsabile dell’ammanco di circa un milione di dollari, finiti soprattutto in pagamento di false tasse doganali. In Liberia i dollari mancanti sono 2,7 milioni, persi in forniture dai costi gonfiati e in stipendi di operatori umanitari inesistenti.

La Croce Rossa si dice profondamente dispiaciuta per le perdite, assicura di aver adottato sistemi di controllo più rigidi, promette che il personale responsabile dovrà risponderne. “Le frodi ai danni di fondi dei donatori – ha dichiarato un suo portavoce commentando l’accaduto – sono l’incubo di tutte le organizzazioni umanitarie”.

Si conviene che le difficili condizioni in cui versa la Liberia siano conseguenza della lunga guerra civile combattuta dal 1989 al 2003. Quanto invece dipendano da corruzione, malgoverno, avidità irresponsabile lo rivela la denuncia della Croce Rossa. È vero che la guerra civile liberiana è stata una delle più feroci e devastanti scoppiate in Africa dopo la fine della colonizzazione europea. Ha provocato oltre 250.000 morti e 800.000 rifugiati su una popolazione di 2,5 milioni. Ma dalla sua conclusione sono trascorsi molti anni durante i quali il paese ha ricevuto aiuti, finanziamenti, contributi, pubblici e privati, remissione del debito estero. Dal 2006 a oggi la Liberia è stata guidata da Ellen Johnson Sirleaf, prima africana eletta capo di stato, per due mandati, premio Nobel per la pace 2011, che, appena eletta, aveva dichiarato guerra totale alla corruzione e aveva chiesto aiuto – così si era espressa parlando al Congresso Usa – affinchè il suo paese potesse “divenire un faro splendente, un esempio per l’Africa e per il mondo di che cosa può ottenere l’amore per la libertà”.

I cinque milioni persi durante l’epidemia di Ebola confermano, insieme a tanti altri casi di corruzione, quanto resti invece persistente e diffuso l’amore per il denaro: perché la responsabilità dei milioni sottratti non ricade, come si tende a pensare, solo su alcune personalità politiche al vertice dello stato, ma su migliaia, più probabilmente decine di migliaia di persone, ciascuna delle quali ne ha ricavato qualcosa, chi poco chi tanto. 

Perciò, per l’endemica pratica della corruzione, tuttora in Liberia mancano infrastrutture e servizi essenziali. Manca l’acqua potabile, ad esempio, l’impianto principale del paese rifornisce solo un quinto degli abitanti di Monrovia, la capitale: però non – come dicono tutti – perché è stato gravemente danneggiato durante la guerra, ma perché da allora non è stato mai riparato.

Adesso, per di più, un paese in così disperato bisogno di una leadership responsabile e competente rischia una crisi politica. Il 7 novembre era previsto il ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto più voti il 10 ottobre, al primo turno delle presidenziali, l’ex calciatore George Weah e il vicepresidente Joseph Boakai. Invece il voto è stato sospeso, rimandato in attesa che la corte suprema si pronunci in merito alle denunce di gravi brogli, grossolani: dalle schede non numerate alle urne sigillate e poi riaperte per aggiungere schede false.

Comunque vadano le cose, la Liberia continuerà a fare i conti non con gli effetti di una guerra terminata ormai da 14 anni, ma con i suoi protagonisti, molti dei quali ora siedono in parlamento e hanno incarichi di governo. Se vincesse George Weah, il suo vice sarebbe Jewel Howard Taylor, parlamentare, ex moglie del signore della guerra Charles Taylor, presidente dal 1997 al 2003, attualmente in carcere in Gran Bretagna dove sconta una condanna a 50 anni di reclusione per crimini di guerra e contro l’umanità. Mentre suo marito era presidente, Jewel ha ricoperto molti importanti incarichi governativi. Siede in parlamento, insieme ad altri protagonisti del conflitto, uno dei signori della guerra più spietati e crudeli, Prince Johnson, l’uomo che nel 1990 catturò l’allora presidente Samuel Doe, ordinò che fosse torturato per ore e poi ucciso e volle che un filmato delle torture, riprodotto in diverse copie distribuite ad amici e collaboratori. È stato grazie al suo potente appoggio che Ellen Johnson Sirleaf è diventata per due volte presidente.