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MEDIO ORIENTE

Libia, la Russia mette in scacco l'Europa

L'esercito agli ordini del maresciallo Haftar (sostenuto dai russi) ha riconquistato due terminal petroliferi chiave alle milizie jihadiste alleate del governo di al-Sarraj, sostenuto da Onu e Occidente. Si ripropone il modello siriano, dove solo la Russia pare capace di impegnarsi per risolvere il conflitto. Con il rischio di trovarci nemici.

Esteri 16_03_2017
Dove sono i terminal contesi

Dove sono i terminal contesi

Il Maresciallo Khalifa Haftar, alla testa dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) che risponde al governo di Tobruk, ha riconquistato in meno di 48 ore i terminal petroliferi di Ras Lanuf e Sidra che erano stati occupati il 3 marzo da una coalizione di milizie jihadiste comprendenti qaedisti e Fratelli Musulmani appoggiati da unità di Misurata (le cui forze sono schierate con il governo di Fayez al-Sarraj sostenuto dall’Onu e dall’Occidente) e probabilmente da consiglieri militari turchi o qatarini.

Le Brigate per la Difesa di Bengasi (BDB - milizia qaedista fondata nel giugno del 2016 e che raggruppa combattenti di diversi movimenti jihadisti incluso Ansar al-Sharia e il Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi) e i lori alleati hanno ceduto il controllo dei terminal alle Petroleum Facilities Guards (PFG) di Ibrahim Jadhran, fedele al governo di al-Sarraj, che aveva perso il controllo della “Mezzaluna Petrolifera” in seguito all’offensiva di Haftar del settembre scorso.

Il successo colto nelle ultime ore dalla grande offensiva dell’LNA al prezzo di 10 morti e 18 feriti (imprecisate le perdite delle BDB e dei loro alleati) è dipeso dal dispiegamento di aerei ed elicotteri da attacco, dal concentramento di circa 7 mila combattenti incluse diverse unità blindate e molto probabilmente dal supporto russo. Nei giorni scorsi erano circolate molte voci circa la presenza di forze speciali, aerei e droni russi tra il confine egiziano e la Cirenaica ed è certo che contractors russi operassero come sminatori nella zona di Bengasi che l’LNA ha da poco strappata ai jihadisti delle Brigate di Bengasi.

Mosca ha smentito con decisione l’invio di proprie forze speciali (solitamente nessuno Stato ammette l’impiego di queste unità militari oltremare) ma è molto probabile che, come è già accaduto in Siria negli anni scorsi, compagnie militari private di contractors composte da ex militari russi abbiano operato al fianco delle forze di Haftar in base a una strategia che ha già visto Vladimir Putin schierare combattenti “non ufficiali” nel Donbass ucraino, in Crimea e in Siria.

Del resto Mosca è legata a doppio filo a Tobruk, sul piano militare con l’accordo di cooperazione firmato nel gennaio scorso dal maresciallo Haftar a bordo della portaerei russa Kuznetsov e sul piano economico-petrolifero con l’intesa siglata dalla società petrolifera russa Rosneft per lo sviluppo dell’estrazione del greggio in Cirenaica.

Il presidente del parlamento libico di Tobruk, Aguila Saleh Issa, ha detto in un'intervista a Ria Novosti, che il suo governo ha chiesto alla Russia di "aiutare ad addestrare i militari" e a "riparare mezzi militari" e Mosca avrebbe promesso "aiuti nella lotta al terrorismo". “Saranno create commissioni per controllare e osservare l'esecuzione dei contratti nella sfera della Difesa firmati con la Russia durante l'epoca di Gheddafi che saranno perfezionati”.

L’intervento russo, diretto o meno, nel conflitto libico preoccupa l’Occidente che rischia di pagare anche in Libia il prezzo degli errori compiuti destabilizzando il Paese con la guerra a Muammar Gheddafi del 2011 e le ambiguità nel sostenere forze islamiste di diversa ispirazione che hanno impedito di ridare all’ex colonia italiana almeno una parvenza di stabilità. Fa un po’ sorridere che il comandante dell’Africa Command statunitense, generale Thomas D. Waldhauser abbia riferito a una commissione del Senato che Mosca sta cercando di condizionare l'esito della crisi libica affermando che i russi "stanno tentando di fare in Libia quello che hanno fatto in Siria".

Putin ha più volte sottolineato l’errore strategico compiuto nel 2011 non ostacolando la guerra della Nato contro Gheddafi ma negli ultimi anni sono stati proprio gli occidentali a influenzare la crisi libica schierando forze speciali a Misurata e impiegando unità aeree statunitensi nella campagna contro lo Stato Islamico a Sirte.

Di fronte a un’Europa incapace di impegnarsi militarmente per stabilizzare la Libia (incapace persino di fermare i flussi di immigrati illegali) e agli Stati Uniti che non sembrano interessati a impegnarsi massicciamente in una crisi che crea problemi soprattutto agli europei, Mosca si ripropone (come già in Siria) come unico “gendarme” determinato a mettere in campo uno sforzo politico e militare teso a risolvere la crisi in atto invece che alimentarla, sostenendo le forze laiche e considerando “terroristi” tutte le forze islamiste.

Le similitudini col conflitto siriano non mancano, innanzitutto perché anche in Libia l’Europa, l’Italia e gli USA risultano al fianco degli islamisti e avversari delle forze laiche.

La missione militare italiana a Misurata, benché sanitaria, rischia di farci apparire “belligeranti” nel conflitto che opponeva anche le milizie di Misurata ad Haftar. Dopo aver curato i feriti della battaglia di Sirte contro lo Stato Islamico, ora l’ospedale da campo italiano rischia di dover curare quelli colpiti nella battaglia dei terminal: un’ipotesi che pone l’Italia come avversaria, anche se indirettamente, dei russi.