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IL DOCUMENTO

L'intervento di Alessandro Pagano

«Signor Presidente, tra qualche minuto, quindi, con l'approvazione del decreto-legge giustizia civile, sarà più facile divorziare che cambiare gestore telefonico. Per coerenza, nonostante la bontà di tutto il resto del provvedimento, quindi, dovrò votare in dissenso dal mio gruppo».

Famiglia 07_11_2014
Alessandro Pagano

Signor Presidente,

tra qualche minuto, quindi, con l'approvazione del decreto-legge giustizia civile, sarà più facile divorziare che cambiare gestore telefonico. Questo è il finale di un decreto che ho cercato di modificare, per quanto di mia possibilità, ma senza risultato. Per coerenza, nonostante la bontà di tutto il resto del provvedimento, quindi, dovrò votare in dissenso dal mio gruppo.

Da oggi il matrimonio diventa un banale contratto, non più un istituto pubblico tutelato dallo Stato: basta un qualunque delegato del sindaco, e non più un giudice, per sancire la fine del matrimonio. Finiranno, quindi, i tentativi di conciliazione e soprattutto non ci sarà più un giudice capace di comprendere e giudicare la situazione contingente, rendendo giustizia alla parte più debole della coppia, solitamente le donne.

Oltretutto, dopo che il Parlamento si sta già pronunciando sul divorzio breve, su un altro testo all'esame del Senato, non si capisce il motivo per cui il Governo abbia inserito queste norme sul «divorzio sprint» (articoli 6 e 12) nel decreto sulla giustizia civile. Secondo me si tratta di una forzatura ideologica, con cui – così come stiamo osservando in altre materie e anche in queste ore nell'altro ramo del Parlamento, quali lavoro, tasse e burocrazia – si cerca di inficiare il buon lavoro del Governo.

Questa chiave di lettura non è quella di un deputato riottoso al sostegno al Governo. Tutt'altro! Mai come in questo momento l'unità deve essere il comune denominatore di una classe dirigente, sia pure composita, che cerca di salvare il Paese. Ma questo non ci deve impedire di gridare con tutte le forze – e mi avvio alla conclusione – che la dittatura del pensiero debole rappresenta la fine antropologica del nostro Paese: una dittatura etica del pensiero unico, che mira a distruggere tutto ciò che rappresenta le radici del nostro Pag. 37essere, quali società, famiglia, corpi intermedi, che devono essere destrutturate e distrutte per fare posto ad un individuo senza storia e senza futuro, un individuo sempre più solo, che sarà distrutto – questo è il tentativo almeno – dalla macchina infernale dello Stato.

Spero che in futuro il Presidente Renzi non voglia essere ricordato dai posteri come colui che ha colpito la famiglia al cuore e spero, invece, per lui, per noi della maggioranza e per l'Italia tutta che proceda spedito sulla strada del vero riformismo, quello di cui il Paese ha veramente bisogno.

*Deputato NCD