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ECONOMIA

L'Italia è libera meno della media mondiale

L'Index of Ecomic Freedom, stilato
da Heritage Foundation e Wall Street Journal, non ha dubbi. I macigni sono la corruzione e la spesa pubblica.

Attualità 16_01_2012
L'Italia in catene

 

Nella classifica mondiale delle libertà economiche del mondo l’Italia arretra. Oggi la Penisola sta a metà strada esatta fra il Paese più economicamente libero del globo, Hong Kong, e quello più smaccatamente inibito, che è come sempre la Corea del Nord (Afghanistan, Iraq, Liechtenstein, Somalia e Sudan sono Paesi, evidentemente per motivi assai diversi, "non pervenuti"). La posizione nettamente intermedia dell’Italia si situa però al di sotto della media della libertà economica mondiale.

Lo documenta, dati alla mano, l’edizione 2012 del famoso e utilissimo Index of Economic Freedom, da 18 anni pubblicato da The Heritage Foundation di Washington in collaborazione con The Wall Street Journal (WSJ), il quale fotografa la situazione del globo nel 2011.
Con un punteggio del 58,8, il nostro Paese si posiziona infatti al 92º posto tra i 184 Stati del mondo recensiti. Rispetto alla situazione presentata dall’"Index 2011", che registrava la libertà economica del pianeta relativamente al 2010, si tratta di un arretramento di un punto e mezzo. A cosa lo si deve? L’"Index 2012" non ha dubbi: fra tutti i fattori presi in considerazione, ciò che più pesa sono l’aumento della corruzione e quello della spesa pubblica. Traguardato sullo scenario europeo, il 92° posto che l’Italia totalizza nel mondo scende del resto ulteriormente, portando lo Stivale a quota 36 su 43, posizione che, se riletta di nuovo in relazione alla scala mondiale, ci deprime ancora di più.
L’indice medio della libertà economica mondiale registrato dall’"Index 2012" è del resto del 59,5 - l’Italia sta appunto sotto -, ed è dettato dal vertice massimo che si registra a Hong Kong, l’89,9 e quello minimo pari all’1 che appartiene, appunto, alla Corea del Nord. Nel complesso, l’indice medio mondiale arretra dunque dello 0,2 rispetto al 2010 fotografato nell’"Index 2011", ovvero è il secondo risultato più basso dell’ultimo decennio.

Per capirsi, va considerato che i Paesi le cui economie nell’"Index" si situano fra i 100 e gli 80 punti di libertà vengono classificati «liberi», quelli che stanno tra i 79,9 e i 70 sono «per lo più liberi» e quelli che stanno tra i 69,9 e i 60 risultano «moderatamente liberi». I guai davvero seri cominciano tra i 59,9 e i 50 punti, i quali determinano una situazione «per lo più non libera», e proseguono rovinosamente in basso tra i 49,9 e lo 0 netto dove il verdetto è «soffocati».
L’"Index 2012" è stilato da un pool di esperti: Terry Miller, Kim R. Holmes ed Edwin J. Feulner (presidente della Heritage), con la collaborazione di Anthony B. Kim, Bryan Riley e James M. Roberts. Paul A. Gigot (responsabile della pagina dei commenti del WSJ) ne firma la premessa iniziale e lo stesso Feulner la prefazione. I calcoli dell’"Index" si basano, da sempre, sulla considerazione di dieci indicatori oggettivi di libertà economica: la diffusione dei diritti di proprietà, il gravame della corruzione, il tasso di pressione fiscale, l’entità della spesa pubblica, la libertà delle attività economiche, la libertà del lavoro, la libertà monetaria, la libertà degli scambi commerciali, la libertà di investimento e la libertà finanziaria.

Dall’"Index 2012" risulta che nel 2011 75 Paesi hanno migliorato le proprie condizioni rispetto al 2010, ma pure che 90 hanno invece invertito la tendenza e che 14 restano invariati. Delle succitate 75 economie migliorate dal 2010 al 2011, 73 appartengono a Paesi emergenti.
Una funzionale tabella riassuntiva dei risultati che l’"Index 2012" presenta la fornisce l’Istituto Bruno Leoni di Torino, da anni partner, in questo ambito, della Heritage e del WSJ. E lì, riguardo all’Italia, si legge: «A dispetto dei ripetuti tentativi di riforma, il cammino del paese verso l’istituzionalizzazione di una maggiore libertà economica è stato incerto e relativamente improduttivo. I rimedi di breve respiro non hanno sortito effetti di rilievo. Quel che è peggio, nell’assenza di un’efficiente sistema giudiziario che garantisca una risoluzione effettiva e tempestiva delle vertenze legali, le basi della libertà economica rimangono deboli». Specificamente, «la corruzione, che non di rado coinvolge funzionari pubblici, rappresenta un problema di crescente gravità ed intacca gravemente la fiducia nei poteri pubblici». E quindi «la crisi del debito sovrano che sta attualmente infuriando in Europa ha avuto un peso considerevole sulla stabilità macroeconomica. Il drastico aumento degli oneri debitori, aggravato da debolezze strutturale, sta indebolendo la competitività sul lungo periodo. Con un debito pubblico pari al 120 per cento del PIL e in continuo aumento, le possibili scelte politiche risultano sempre più limitate. A casa della complessità del quadro normativo e dei costi elevati che comporta lo svolgimento di un’attività economica, una considerevole percentuale di queste ultime rimane nel settore informale, ossia nell’economia sommersa».

 

Al link in calce scarica una vecchia lettura: spunti di filosofia dell'economia dall'Index of Economic Freedom 2005.