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TERRORISMO

Londra e Parigi, storia di due "lupi solitari"

In meno di 24 ore l’Europa è stata colpita da due nuovi attentati di segno opposto. A Londra, un uomo di nome Darren Osborne vuole uccidere musulmani. A Parigi, un jihadista cerca di fare strage di poliziotti. Sono due gesti simili, su bersagli opposti. E non possono essere messi sullo stesso piano. Il primo è un lupo solitario, il secondo è parte di un'offensiva e di un piano di lungo termine.

Editoriali 20_06_2017
Darren Osborne

In meno di 24 ore l’Europa è stata colpita da due nuovi attentati di segno opposto. A Londra, domenica notte, un uomo di 47 anni di Cardiff, di nome Darren Osborne, si è improvvisato attentatore e si è lanciato con un furgone su un assembramento di musulmani, da poco usciti dalla moschea di Finsbury Park. Un morto e dieci feriti è il bilancio del suo folle gesto. A Parigi, ieri pomeriggio, un uomo musulmano, già seguito dai servizi di sicurezza francesi sin dal 2015, si è lanciato con un’auto imbottita di bombole del gas, contro una camionetta della polizia sugli Champs Elysées, in pieno centro a Parigi. L’attentato è fallito: l’unico morto è lo stesso terrorista.

L’attentato a Londra ha fatto talmente tanto scalpore da eclissare quello fallito successivamente a Parigi. L'aggressione nella capitale britannica è la tipica notizia dell’“uomo che morde il cane”, la singolarità del cittadino britannico, bianco e non musulmano, che uccide i musulmani. In un periodo in cui la Gran Bretagna è sconvolta dai tre attacchi terroristici di Westminster, Manchester e del London Bridge, l’azione omicida di Darren Osborne appare come quella del vigilante che non si fida più dello Stato e decide di farsi giustizia da sé. La comunità islamica londinese, il sindaco Sadiq Khan e la premier Theresa May lo condannano come esempio estremo di islamofobia. La comunità musulmana britannica, in particolar modo, lo denuncia come il più grave di vari episodi di islamofobia, intensificatisi dopo la strage di Manchester. Theresa May, nel suo discorso dopo l’attentato, invita la società britannica a non dividersi e condanna ogni forma di estremismo, islamofobia inclusa. E promette un maggior impegno contro la radicalizzazione, anche online.

Finsbury Park, fra l’altro, è un luogo simbolo dell’islam jihadista britannico. Era proprio da quella moschea che proveniva Richard Reid (l’uomo che provò a nascondere la bomba nelle sue scarpe, a bordo di un aereo, nel 2001) e Zacarias Moussaoui il celebre predicatore di odio. Ma dal 2003, la moschea che era diventata un epicentro dell’attività di Al Qaeda nel Regno Unito, è stata riformata e affidata a imam moderati. Ed è diventata un simbolo dell’islam più integrato.

L’attentatore di Cardiff ha deliberatamente attaccato musulmani di quella moschea, memore del suo ruolo storico? Probabilmente no. Prima di tutto perché il gruppo che ha preso di mira era già lontano dalla moschea (che era dall’altra parte di un cavalcavia ferroviario), in secondo luogo perché il 2003 è ormai molto lontano: c’era Blair, c’era la guerra in Iraq, era un altro periodo storico e un altro clima. Darren Osborne, mentre veniva immobilizzato a terra dai fedeli musulmani sopravvissuti e salvato dal linciaggio dall’imam, gridava, prima di tutto, di voler uccidere i musulmani, poi di voler essere ucciso a sua volta. La famiglia è sotto shock. L’uomo, padre di quattro figli, non era tenuto sotto osservazione dalle forze di sicurezza. Non apparterrebbe ad alcuna organizzazione. Nessuno ha rivendicato l’attentato. “Islamofobia” è il movente dichiarato dalle autorità, perché l’attentatore ha deliberatamente attaccato dei musulmani. Tuttavia è scorretto attribuire l’azione a una presunta turba psicologica (una fobia). Anche perché nessuno direbbe che gli attentatori del London Bridge o di Manchester abbiano agito per “occidentefobia” o “cristianofobia” a un concerto di Ariana Grande o contro la gente a passeggio su un ponte. Il caso di Darren Osborne parrebbe più legato alla sua condizione mentale del momento. Un colpo di testa, a tutti gli effetti, privo di un disegno di ampio respiro (contrariamente al terrorista norvegese Anders Behring Breivik, dunque), tantomeno di un’organizzazione alle sue spalle. 

Di segno opposto, invece, il fallito attentato di Parigi, perché in quel caso l’attentatore era un jihadista tenuto d’occhio dai servizi segreti francesi sin dal 2015. L’auto era stata caricata di bombole di gas, per poter diventare un’auto-bomba. E a bordo sono stati trovati anche fucili kalashnikov di contrabbando. Si è trattato, dunque, di un’azione premeditata, volta all’uccisione di poliziotti francesi in un luogo simbolo della capitale, in un momento di grande visibilità (all’indomani delle elezioni parlamentari). Qui il movente è chiaro, c’è un’organizzazione alle spalle e c’è la premeditazione.

Nel caso dell’attacco a Londra possiamo parlare di “lupo solitario” nel senso pieno del termine. Un uomo che agisce sua sponte per condurre un attacco terroristico concepito dalla sua mente. Nel caso del fallito attentatore di Parigi e degli altri jihadisti che, in questi anni (dalla strage di Tolosa in poi) hanno agito singolarmente, ma nel nome dello Stato Islamico, non si può parlare di “lupi solitari”, senza ricorrere a una notevole forzatura della realtà. Benché agiscano da soli, alle spalle hanno un percorso di radicalizzazione, formazione, addestramento ed equipaggiamento che coinvolge decine di persone differenti in più di un paese.

E’ doveroso da parte della premier May e del sindaco Khan condannare l’episodio del lupo solitario di Londra, lo stigmatizzino e invitino a combattere l’estremismo di qualunque provenienza. Non ci sarebbe niente di peggio di una emulazione di gruppo che porti alla guerra fra le periferie musulmane contro quelle non musulmane. Proprio lo scenario che l’Isis desidera (e descrive nei suoi manuali) per far presa sulla popolazione islamica delle città europee.

Per l’attentato a Londra, però, si può sperare veramente in un caso unico e irripetibile. L’attentato a Parigi, invece, è uno dei tanti del biennio jihadista che sta vivendo la Francia, parte di una grande offensiva terroristica che sta colpendo l’Europa occidentale da anni. Non si possono mettere i due episodi sullo stesso piano, a meno di non voler fare facile retorica sulle “religioni tutte cattive” o su “tutte le religioni hanno i loro estremisti”. Formule buone a rasserenare gli animi, ma non a elaborare la giusta risposta politica.