Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Marco a cura di Ermes Dovico
IL CASO

Mafia e aborto, chi offende le donne

Una nuova vittima sacrificale: è il sacerdote che ha fatto il parallelo tra mafia e aborto. Tra Bonino e Riina però il punto è se l'aborto, da reato a diritto, resti o no un crimine, come la Mafia. Secondo il Papa sì. Perché offende le donne più di un prete che ha sollecitato le coscienze addormentate dalla cultura radicale.

Editoriali 21_11_2017

E’ l’ultima vittima sacrificale di un sistema mediatico che si autoalimenta cibandosi di mostri da prima pagina. Non per quello che fanno, ma per quello che dicono. Sono cattolici, meglio se preti e hanno un unico denominatore comune: non sono conformati al pensiero unico. Nei loro confronti si sta appostati coi fucili spianati in attesa che dicano qualcosa di sgradito al sistema mainstream e quando la dicono, spesso utilizzando Facebook come pulpito, pronta arriva la campagna denigratoria.

L’ultimo finito sulla graticola si chiama don Francesco Pieri e svolge il suo ministero a Bologna. Da giorni le cronache non parlano d’altro, perché il sistema della censura si alimenta anche condividendo nel copia e incolla delle dichiarazioni l’unico obiettivo contro cui scagliarsi. Il sacerdote ha affidato a Facebook il suo commento sulla morte del boss Totò Riina. “Ha più morti sulla coscienza Totò Riina o Emma Bonino?”. Il riferimento all’esponente radicale è alla sua battaglia ultra 40ennale a favore dell’aborto, di cui le cronache ormai sanno tutto.

Sicuramente questa è una frase così politicamente scorretta da diventare un pugno in faccia al perbenismo. Il parallelo che hanno fatto i benpensanti è ovviamente che il sacerdote ha paragonato il pluriomicida mafioso Riina a una donna che ha fatto politica tutta la vita e che poteva anche diventare Presidente della Repubblica. Insomma: che c’azzecca? Nulla, se accettiamo il fatto che la Mafia è un reato e l’aborto non più. Ma la boutade di don Francesco ha contribuito a svelare un piccolo grande segreto di Pulcinella della nostra modernità: da quando le democrazie occidentali hanno sdoganato l’aborto trasformandolo da reato qual era a diritto, anche il giudizio morale su di esso si è dovuto arrendere ed è stato inglobato positivamente tra le opportunità contemporanee. Eppure resta un crimine contro l’uomo, piaccia o non piaccia alla maggioranza, che sposta il tema dall’etica alla giurisprudenza umana.

Oggi tutti si stracciano le vesti per don Pieri, compresi solerti megafoni dell’ecclesialmente corretto come Federico Pichetto che dalle colonne del Sussidiario ha addirittura imputato a don Francesco il far parte – orrore! – “della casta del fortino cattolico attento più al Magistero incapace di comprendere le vicende del nostro tempo e quindi preoccupato di smettere di avere ragione e quindi potere”. Una frase davvero sorprendente se si pensa che per certi intellò ogni volta che un cattolico dice qualcosa fuori dal coro deve sempre avere un secondo fine. Si vede che la dietrologia di cui si cibano non fa loro vedere oltre. 

Tra l’altro Pichetto nella sua appassionata accusa contra Pierim” ha fatto ricorso anche a nebulose distinzioni paragonando la Mafia a un tumore di vecchia data dell’umanità e l’aborto a una metastasi impazzita della modernità. Qual è la differenza? Boh, per noi è sempre materia da oncologi e non da ortopedici, ergo non si capisce neanche dove il prete abbia sbagliato.

Però c’è un però: commenti come questo ignorano il fatto che lo stesso Papa Francesco abbia usato più o meno le stesse parole, accomunando proprio l’aborto alla Mafia. Incredibile dictu, stando a certi soloni, ma è così. Solo che quando il Papa parlò era il 18 febbraio 2016 di ritorno dal Messico e tutti si precipitarono a titolare sulla frase rivolta al presidente Trump. Ma Francesco disse proprio così: “L’aborto non è un 'male minore'. E’ un crimine. E’ fare fuori uno per salvare un altro. E’ quello che fa la mafia. E’ un crimine, è un male assoluto”.

Ora, si potrebbe stare anche qui a disquisire sul fatto che il Papa non abbia fatto nomi e don Francesco sì. Ma sposterebbe l’attenzione sulla opportunità, non altererebbe la sostanza delle cose. Può piacere o non piacere, ma don Francesco è in compagnia di un altro Francesco. 

Chi invece pensa di avere una compagnia che in realtà non le appartiene è la Bonino, che se n’è stata zitta per due giorni, confortata dal can can mediatico a suo favore. Poi è intervenuta per commentare: “Gli insulti qualificano chi li fa non chi li riceve. Immagino Don Piero abbia fatto il mio nome per rappresentare milioni di donne che hanno subito in un modo o nell'altro il trauma dell'aborto. L'offesa quindi non l'ha rivolta a me ma a milioni di donne”. E giù applausi. Ma è proprio nelle parole della Bonino che si intravvede il vizio di fondo di questo corto circuito immorale che ci trasciniamo da anni. Trasformato l’aborto da reato a diritto, anche il protagonista dell’azione cambia la sua responsabilità. In realtà l’aborto, che resta un crimine anche se non è più giuridicamente un reato (e speriamo che questo si possa dire senza incorrere nella censura!) è la più grande offesa che si possa fare ad una donna.

Non è un’opinione, ma la realtà del vissuto di milioni di donne che lo documenta. Un’offesa che spesso viene compiuta proprio impedendo alle donne stesse di comprendere bene che cosa significhi sopprimere un innocente in grembo, raccontandole che è per la loro libertà e autodeterminazione, spacciando artifici linguistici, inscenando campagne dal vittimismo facile e usandole strumentalmente  nel momento della prova. Di questo la cultura radicale, contrabbandando una licenza alla soppressione mascherata da libertà, è responsabile, perché ha fatto passare in questo Paese la cultura che l’aborto non fosse nient’altro che un trauma necessario, quando invece è una tragedia e basta.

Non serve tirare in ballo i milioni di donne, perché nelle urticanti parole di don Francesco, non è scomodata la loro coscienza, che viene così coperta da quella pietà misericordiosa cristiana che tace di fronte alle accuse, ma non tralascia mai la verità. No, ad essere chiamata in ballo semmai è la coscienza della cultura ideologica radicale di cui Emma Bonino è stata una sacerdotessa. Perché non sappiamo se le donne, tutte le donne, si siano sentite più insultate da don Francesco oppure dal fatto che sul loro corpo si è abbattuta la più vasta macchinazione di indottrinamento che la storia occidentale abbia conosciuto. Fossimo la Bonino non scommetteremmo ciecamente sulla prima.