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STATI UNITI

Parte dall'Iowa la sfida di Michele Bachmann

Alle primarie cercherà di unire
i Repubblicani per poi stanare Obama. Deve far tesoro dei mille "campanili", forza e debolezza dei conservatori.

Attualità 29_06_2011
Michele Bachmann

 

All’udire il toponimo Waterloo la gente tocca ferro, ma stavolta è diverso. Non siamo infatti nel Belgio di epoca  napoleonica, ma nell’Iowa rurale al tempo di Barack Obama; e la sfida elettorale di Michele Bachmann è già una vittoria, comunque vada.

Il 27 giugno la deputata del Minnesota ha finalmente ufficializzato la propria candidatura nelle fila del Partito Repubblicano. La notizia era già reale da tempo, si è concretizzata coram populo con il passaggio televisivo alla CNN del 13 giugno in cui bucò il video “rubando” la scena ai sei compagni di ventura già in corsa per le primarie che selezioneranno il front-runner del Grand Old Party (GOP, l’altro nome del Partito Repubblicano) destinato a confrontarsi direttamente con Obama il 6 novembre 2012, ma la Bachmann ha aspettato fino a lunedì per scegliere il punto di non ritorno e pure il luogo: appunto Waterloo, Iowa, la “pancia” della provincia conservatrice americana grassroots (“di base”, “di popolo”).
Michele (rigorosamente, eccentricamente con una “l” sola) Marie Amble maritata in Bachmann vi è nata il 6 aprile 1956: tornarci adesso per ripartire è una mossa obbligata più che scontata. Significa rivendicare radici, puntare su un determinato mondo, prenderla alla grande più che alla lontana.

Del resto da qualche anno negli Stati Uniti il conservatorismo politico è donna: moglie, madre e angelo del focolare nelle piccole patrie in cui lo sconfinato ecumene statunitense si spezzetta lontano dalle luci della ribalta per riunirsi in un popolo autentico. La capostipite è l’oramai famosa Sarah Palin, regina dalla remota Alaska e originaria del pionieristico Idaho; ma non si può dimenticare Nikki Haley, l’indiana dell’India diventata governatore dei "sudisti" del South Carolina il 2 novembre 2010 e Christine O’Donnell in Delaware, che se proprio non è uno Stato dell'"Heartland America" certo non è neppure uno dei luoghi più turistici degli Usa.

Sarah, Nikki e Christine sono la punta di un iceberg la cui base è notevole e sistematicamente snobbata dai media. Con Michele hanno in comune un fatto che non è solo uno slogan: a loro non basta essere Repubblicane, vogliono e tutto puntano sull’essere conservatrici. Nel linguaggio politico-culturale statunitense ciò indica l’intransigenza sui "princìpi non negoziabili" ma anche l’idea che il buongoverno non si ferma lì, che da lì discende in modo lineare, anche se talvolta non diretto, una ragion pratica sociale, politica ed economica un po’ più opinabile ma sino a un certo punto.

La Bachmann ha deciso di portare tutto questo nelle sfere più alte della sfida per il potere statunitense, e per farlo in maniera significativa e non estemporanea cerca di compattare su di sé quel mondo in cui convivono, storicamente, varie anime e spiriti diversi. E, almeno sulla carta, le premesse ci sono.

Prendiamo per esempio il suo Iowa. Dovreste vederlo (magari lo conoscete a menadito). L’Iowa sa ancora oggi di trapper e di bisonti; la sua Assemblea Generale si riunisce solo pochissimi mesi l’anno perché per il resto i parlamentari eletti lavorano "nel mondo"; qualcuno di loro circola con un legalissimo revolver sotto la giacca; la sua capitale si chiama Des Moines (francese: i monaci); fa un freddo polare diversi mesi l’anno e per questo le strade sono deserte mentre la vita brulica dentro palazzi di acciaio e vetro, e le strade si attraversano mediante tubi arei che sorvolano le carreggiabili. Il 3 aprile 2009 l’Iowa ha legalizzato i "matrimoni" gay, ma è stato - dicono - un incidente di percorso. Nel novembre scorso le elezioni hanno ostracizzato tre dei giudici che avevano approvato quella legge e i Repubblicani pro-family hanno conquistato sei nuovi seggi al Senato di Stato. Poi in febbraio la Camera sempre dello Stato si è espressa 62 voti a 37 a favore dell’introduzione di un emendamento alla Costituzione statale che bandisca (sul modello di ciò che hanno scelto numerosi referendum in altri Stati americani ) "nozze" gay e unioni civili. A Des Moines si dice che se la prossima volta i conservatori riusciranno a ottenere la maggioranza per via Repubblicana dentro l’assemblea di Stato allora la musica potrebbe cambiare di botto.

In questo Iowa la Bachmann è venuta al mondo 55 anni fa in una famiglia cristiana riformata di origini norvegesi, è di fede luterana e aderisce all’assai conservatore Sinodo Luterano del Missouri. Non ha mai fatto mistero di non credere all’evoluzionismo ed è una irriducibile oppositrice di aborto, contraccezione, ricerca sulle cellule staminali embrionali umane e "matrimonio" omosessuale.

Sposata dal 1978 con Marcus Bachmann che ha conosciuto nei sit-in davanti alle cliniche abortiste, è madre di cinque figli, ne ha in affido altri 23 di età comprese tra i 16 e i 28 anni, è stata avvocato fino al 1993 e poi ha scelto la casa e la famiglia. E la politica. Dal 2001 al 2006 è stata eletta per due volte nella Camera del Minnesota, Stato dove è cresciuta e dove ha studiato. Quindi dal 2007 ha servito quello Stato come deputata alla Camera federale di Washington, bissando il successo nel 2008 e trionfando ancora di larga misura nel 2010 come paladina del movimento dei "Tea Party", l’incarnazione più recente del "movimento popolare" del conservatorismo americano, mai solo un fenomeno di protesta fiscale.

Il "Tea Party" è infatti per gli americani la difesa politica del diritto costituzionale a un’amministrazione giusta, a un governo temperato, a una pressione fiscale sostenibile, alla libertà d’intrapresa e di educazione, alla vita. Protesta contro lo statalismo così come contro l’aborto, combatte la spesa pubblica insensata tanto quanto la legalizzazione dei "matrimoni" omosessuali, e il tutto in nome delle libertà della persona e del principio di sussidiarietà che è inscritto a lettere d’oro dentro le istituzioni americane.

Il 16 luglio 2010 la Bachmann ha portato il tutto dentro il Congresso creando il "Tea Party Caucus", un coordinamento permanente di parlamentari conservatori, e con questo scudo si è imposta al Paese il 25 gennaio quando in tivù ha risposto al discorso sullo Stato dell’Unione di Obama inserendosi con un gran colpo di teatro nel tradizionale botta e risposta tra il presidente e l’opposizione (quest’anno il deputato Repubblicano in rappresentanza del Wisconsin Paul D. Ryan jr.). La prima consacrazione pubblica l’aveva conquistata sul campo della Marcia per la Vita di Washington il giorno prima, ospite principale alla tradizionale cena di raccolta fondi che sempre chiude la manifestazione torreggiando - scrive Kathleen Gilbert per il portale antiabortista LifeSiteNews - come «una delle stelle più brillanti della scena pro-life statunitense».

Ebbene, le previsioni sono fatte per essere smentite, ma le primarie Repubblicane dell’anno prossimo dovrebbe proprio essere il duello fra la Bachmann e Mitt Romney, a lungo e per il momento ancora (di stretta misura) il favorito degli anti-Obama eppure fortemente zavorrato: è più probabile infatti che una luterana tutta d’un pezzo come la Bachmann riesca ad attrarre parte del voto cattolico che non un mormone come Romney riesca a far breccia nei cuori evangelicali (e catto-tradizionalisti).

In più la Bachmann sta già riuscendo là dove molti hanno tentato e pochi sono stati i successi: tenere assieme i vari elettorati che potrebbero ridare la Casa Bianca al GOP, dalle vene più libertarie dei contestatori del fisco ai gruppi religiosi che s’identificano con la causa pro-life, dalla vecchia guardia conservatrice poco propensa alle avventure militari all’estero a chi comunque ritiene decisiva la lotta contro il terrorismo internazionale. Magari con un colpo al cerchio e uno alla botte come si usa in politica, ma che male c’è? Sul fronte Repubblicano la Bachmann è infatti, adesso, l’unica che riesce a incanalare gli irriducibili delle battaglie single-issue (i non-nati o le tasse) in una visione d’insieme capace di tenere presente le molte sfaccettature politiche di un bene davvero comune. La strategia che serve, cioè, per governare un Paese, figuriamoci quello più importante del mondo.