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NUOVA GUERRA FREDDA

Pechino indecisa se rispondere alla sfida di Trump

La Cina dibatte sulle spese militari, tra l’esigenza di aumentarle in modo proporzionale alla crescita del PIL e le pressioni per un incremento più robusto che segua i ritmi dettati dalla corsa al riarmo promossa negli Usa dall’Amministrazione di Donald Trump. Finora le spese militari cinesi sono aumentate, ma il trend è calante perché l'economia è più in crisi rispetto a quel che si vede nei dati ufficiali.

Esteri 06_03_2017
Pechino, parata militare

La Cina dibatte sulle spese militari, tra l’esigenza di aumentarle in modo proporzionale alla crescita del PIL e le pressioni per un incremento più robusto che segua i ritmi dettati dalla corsa al riarmo promossa negli Usa dall’Amministrazione di Donald Trump.

Se il Pentagono potrà contare quest’anno su 54 (o forse 84) miliardi di dollari in più rispetto al 2016, che porterà a un incremento tra il 9 e il 15% con un bilancio complessivo di circa 700 miliardi, Pechino ha autorizzato un aumento di circa il 7%, in linea con un PIL cresciuto ufficialmente nel 2016 del 6,7%. Dati da più parti contestati considerato che la scarsa trasparenza e la diffusa corruzione potrebbero mascherare, anche per ragioni di propaganda del regime, crescite molto più contenute se non addirittura una decrescita economica del colosso asiatico. Il primo ministro Li Keqiang ha cercato di tranquillizzare affermando che "i fondamentali dell'economia rimangono solidi e abbiamo la fiducia, la capacità e i mezzi per prevenire i rischi di sistema".

L’aumento delle spese militari cinesi, che fino al 2015 veleggiava a quote a doppia cifra ogni anno, ha comunque portato quest’anno allo stanziamento record di oltre mille miliardi di yuan, pari a 145 miliardi di dollari. Cifra che risente della svalutazione dello yuan e del fatti che non tutte le spese militari sono assegnate al Ministero della Difesa. Considerato che nel 2006 la Cina ha speso nel settore militare 192 miliardi di dollari (fonte IHS Markit) quest’anno l’ammontare supererà i 200 miliardi al valore monetario dell’anno scorso. L’incremento delle spese militari cinesi mantiene in ogni caso un trend calante: più 10,1% nel 2015, più 7,6% l’anno scorso (per la prima volta in 6 anni sotto a cifra singola) e il 6,7% quest’anno.

Alla vigilia dell’apertura dei lavori dell’Assemblea nazionale del popolo, la portavoce Fu Ying ha precisato che il futuro delle spese militari della Cina dipenderà da ciò che gli Stati Uniti faranno nella regione. Pechino afferma di voler difendere la sua sovranità e salvaguardare la libertà di navigazione nella zona ma da tempo la militarizzazione di isole e atolli del Mar Cinese meridionale e orientale suscitano timori e critiche dagli altri Paesi della regione. Fu Ying ha spiegato che la Cina chiede “una soluzione pacifica delle dispute territoriali attraverso il dialogo e la consultazione" ma “allo stesso tempo abbiamo bisogno di salvaguardare la nostra sovranità, i nostri interessi e i nostri diritti e in particolare abbiamo bisogno di vigilare contro l’intromissione di nazioni esterne nelle dispute”. "Aumentare le capacità della Cina aiuterà a mantenere la pace e la stabilità nella regione, piuttosto che il contrario", ha detto la portavoce sottolineando che per la Difesa Pechino spende l'1,3% del Pil cinese contro oltre il 3% degli Usa che premono sul partner Nato per destinarvi il 2%. 

Fu ha ribadito che le forze militari cinesi hanno lo scopo di "pura difesa" costituendo una forza di stabilizzazione dell'Asia invece che una minaccia. "Il gap della nostra capacità rispetto agli Usa è enorme, ma lo sviluppo e la costruzione delle nostre forze armate continuerà in base alla necessità di rispettare i bisogni di Difesa della nostra sovranità e sicurezza nazionali". A margine della Conferenza politica consultiva del popolo cinese, che si tiene quasi in contemporanea con l’Anp, il generale a riposo Wang Hongguang (uno dei più ascoltati analisti militari cinesi noto per le sue posizioni da “falco” nei confronti di Stati Uniti e Taiwan) ha dichiarato che “dal momento che il bilancio militare degli Usa è aumentato del 10%, anche noi abbiamo il dovere di garantire incrementi a due cifre intorno al 12%”. 

Da un lato Pechino sembra voler restare al passo col Pentagono, che comunque spende oltre il triplo dei cinesi anche se il potere d’acquisto del bilancio Usa è inferiore a quello del rivale asiatico, ma dall’altro la Cina rischia di cadere nella “trappola” di Trump. Attraverso le maggiori spese militari Trump sembra voler indurre la Cina a una corsa al riarmo che non potrà economicamente e socialmente sostenere con il calo (o crollo?) del PIL e in previsione di una forte flessione dell’export se Trump chiuderà o ridurrà l’accesso delle merci cinesi sul mercato statunitense. Il dibattito in atto a Pechino sembra infatti improntato ad accettare la sfida facendo quindi “il gioco di Trump” e aprendo alla prospettiva di una Cina che, privilegiando i “cannoni” al “burro”, aumenterà il rischio di venire travolta da sommosse e malcontento interno. 

A ben guardare la stessa strategia vincente adottata negli anni ‘80 da Ronald Reagan con l’Unione Sovietica.