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#RISCOPRIAMOILCANONE

Preghiera eucaristica in crisi dopo la Riforma liturgica

Il dibattito della Bussola sulla riscoperta del Canone romano a Messa. Dopo Lugaresi interviene Barile: «Il problema è la crisi della preghiera eucaristica dopo la riforma liturgica. Le leggi ci sono, non la loro considerazione fino al disprezzo. Così il Canone romano è ormai sparito dalla memoria dei fedeli, in una svalutazione che parte con Lutero».
-I LETTORI SEGNALANO

Ecclesia 21_03_2019

Riprendo l’intervento e la proposta del prof Leonardo Lugaresi su di un più frequente uso del Canone Romano o Preghiera Eucaristica I (PE1), dal momento che «non la dice mai nessuno (o quasi)» e «tutti (o quasi tutti) i preti dicono sempre (o quasi) la seconda». Beh... non è proprio così. Qualche eccezione c’è.

In ogni caso, per quanto dipende da me, da anni uso la PE1 in tutte le Eucaristie festive dell’Avvento, del tempo di Natale, di Quaresima e di Pasqua nonché in altre circostanze molto solenni. Riservo la PE3 per le domeniche tra il tempo di Natale e la Quaresima, per qualche domenica dopo la Pentecoste e da ottobre sino all’Avvento. Uso la PE2 nelle domeniche d’estate (luglio, agosto, settembre): è più breve e... fa caldo! Potrei piazzare la PE4 due volte subito dopo il tempo di Natale e nelle due ultime domeniche del tempo ordinario. Così si instaura un certo equilibrio e i fedeli riconoscono subito i “tempi forti”.

C’è però un contesto da tenere presente, che è molto più ampio e articolato. Ad esempio, l’affermazione che la PE1 «un tempo era l’unica preghiera eucaristica valida per tutti in tutto il mondo» (Lugaresi) va relativizzata ricordando che sono esistite e tuttora praticate altre preghiere eucaristiche nelle Chiese d’oriente, per cui la PE1 è stata “unica” solo per la Chiesa latina e dunque una eventuale crisi riguarda soprattutto la Chiesa latina.

CRISI DOPO LA RIFORMA LITURGICA
Ciò precisato, il problema odierno - più ampio di quanto attiene alla PE1 - è la comprensione vitale della preghiera eucaristica e la sua crisi dopo la riforma liturgica. La grande novità della riforma liturgica è stata la riforma della Liturgia della parola con la costituzione del nuovo Lezionario e l’attenzione a questa novità ha poco o tanto impedito una parallela attenzione alla seconda parte della Messa.

Quale attenzione e quale partecipazione vitale bisognerebbe recuperare nella Preghiera eucaristica da parte del celebrante e dei fedeli? Anzitutto non bisognerebbe polemicamente concentrarsi solo sulle formule che ottengono la presenza di Gesù Cristo (le parole della transustanziazione): questo è vero e irrinunciabile ed è l’abisso che separa la Messa cattolica dal culto protestante, ma non è tutto. Altri elementi andrebbero recuperati: la preghiera eucaristica è l’azione di grazie di Gesù Cristo che continua sotto l’ispirazione dello Spirito Santo e dunque è “preghiera del Signore” come il Padre nostro; è la nostra presenza al sacrificio della croce (1Cor 11,26) nella persona di Gesù Risorto, di cui appunto ricordiamo non tanto la sua “passione” ma la sua “beata” passione che ancora oggi redime i presenti e il mondo; unendoci alla croce sulla quale «tutto era compiuto» (Gv 19,28) e sulla quale prima di spirare Gesù disse «è compiuto» (Gv 19,30), è nella preghiera eucaristica che troviamo il compimento delle letture proclamate nella prima parte della Messa, di tutte le letture sia dell’AT che del NT (ma quanti preti nell’omelia stabiliscono un nesso tra la letture, i loro personali blà blà blà e il sacrificio di Gesù al quale prendiamo parte nella preghiera eucaristica?); è infine la nuova alleanza (imprescindibile dall’ascolto previo della Parola), l’offerta del sacrificio di Cristo e delle nostre vite. Certamente la PE1 è particolarmente sensibile a questi temi, ma vanno esplicitati o nella omelia o altrove perché ordinariamente i fedeli - solo i fedeli? - non ci arrivano da soli.

Dunque la proposta è di «riprendere a celebrare la Messa usando ordinariamente (che non vuol dire sempre, basterebbe farlo regolarmente) il Canone romano». Caro Lugaresi, trasferiamoci nell’ufficio del dottor Azzeccagarbugli. Se permette, io faccio il dottore e lei fa il povero Renzo. Non c’è bisogno di una proposta, le grida ci sono già ed è già tutto previsto. L’attuale Ordinamento generale del Messale Romano al n. 365 offre dei criteri per la scelta della PE1: quando ci sono delle variabili proprie per alcuni giorni o periodi liturgici di particolare intensità (Natale e Pasqua); nelle feste degli Apostoli o dei santi ricordati nella preghiera stessa; nelle domeniche «a meno che, per ragioni pastorali, non si preferisca la Preghiera eucaristica III». Tutto a posto.

EPPURE LA LEGGE DICE CHE...
Ora lei Lugaresi/Renzo
continua osservando candidamente: «E non c’è superiore che potrebbe proibire di leggere quel che (ancora) c’è scritto sul Messale!». Eh... no! A questo punto io/Azzeccagarbugli le sbatto le carte in faccia e le ricordo: questo vale per un superiore religioso, per un parroco, per un vescovo, ma chi è semplice presbitero religioso, viceparroco, semplice prete rischia a volte di dover far fronte a un mucchio di interventi fastidiosi tutti e sempre motivati dal venire incontro alla gente e - Dio non lo voglia - dalla pastorale d’insieme e dalla comunione ecclesiale. E non è facile perseverare.

Ecco il problema vero: non si tratta delle leggi, che ci sono, ma della loro considerazione irrilevante sino alla dimenticanza o al disprezzo pratico, atteggiamento favorito dal non intervento di chi ha autorità e che tendenzialmente sta sempre dalla parte dei “novatores”, oppure non interviene, tanto ormai sa per esperienza che sarà smentito da un’autorità superiore.

LO ZAMPINO DI LUTERO
La constatazione pratica
è che «il canone romano è ormai sparito dalla memoria dei fedeli». In questo, caro Lugaresi, ha ragione. Al riguardo mi piace ricordare che nei tempi moderni la svalutazione del canone è cominciata con Lutero. Nel 1520 nel De captivitate babylonica ecclesiae scrisse che nella Messa bisognava «eliminare tutti quei particolari che sono stati aggiunti alla sua originaria istituzione»: non solo le vesti e gli ornamenti, ma anche «le preghiere», riducendo la liturgia eucaristica alle sole parole della consacrazione. Nel 1521 nel De abolenda missa privata (II, Il Canone) scrisse: «Niente di strano che anche il loro (dei “papisti”) canone dica qualche sciocchezza. Chi non si accorgerebbe, infatti, che è stato messo insieme da qualcuno prolisso e poco spirituale? A che serve dire tante parole inutili? “Questi doni, queste offerte, questi sacrifici” (...). E molte altre cose del canone possono essere a buon diritto messe in discussione». Nella Deutsche Messe del 1525-6, strutturò la Messa in tedesco e con le sole parole dell’attuale consacrazione. E qui Lutero, “inventando” la sua presunta vera Messa, ruppe definitivamente con la tradizione, ma, paradossalmente, anche con la Scrittura, la quale ci informa che Gesù Cristo nell’ultima cena «recitò la benedizione ... rese grazie» (Mt 26,26-27). Ora questo rendimento di grazie era contenuto nella preghiera eucaristica, che non poteva essere soppressa se non ignorando la Scrittura. I Padri di Trento reagirono ribadendo che la Chiesa «ha stabilito da molti secoli il sacro canone, talmente puro da ogni errore, da non contenere niente che non profumi di grande santità e pietà, e non innalzi a Dio la mente di quelli che lo offrono» (D 1745).

Dio mi guardi dal sentenziare che oggi i cattolici sono diventati luterani: il canone è rimasto ed è raccomandato dalla legislazione suesposta! Però questa storia insegna che in liturgia il sottolineare troppo la Parola come pura essenza della dottrina e del culto cristiano è pericoloso oltre che sbagliato perché c’è una presenza di Gesù Cristo nello Spirito Santo che fa rifiorire le Scritture in altre parole come quelle del canone e in ogni caso, non solo “chi tocca i fili muore” (Lugaresi), ma “chi tocca poco la PE1 muore di asfissia liturgica”.

IL LATINO AIUTA
Mi permetto di spezzare una lancia a favore della PE2. È vero che è la più breve e che può essere ulteriormente abbreviata dalla precipitazione e dalla sproporzionata lunghezza dell’omelia, ma ha delle risorse. Se la si pronuncia con calma in modo da poter fare bene i gesti, ha una sua dignità. E poi personalmente qualche volta ho usato questa PE2 in latino e cantando il cantabile, una volta in un’assemblea con molti partecipanti del nord Europa e alcuni si sono commossi. Perché non farlo in alcuni giorni festivi e in una assemblea che conosce ormai a memoria il testo? La lingua latina unita al canto creano delle possibilità di comprensione e partecipazione nuove e più profonde. Lo so, qualcuno obietterà che qui siamo nel sacro e non nel santo, ma rispondo che chi parla così il più delle volte ha perso anche il santo.

Un altro suggerimento malizioso: a chi è convinto, suggerisco di non incrementare l’uso della PE5 con le sue 4 varianti che di fatto sono quattro preghiere eucaristiche (i cosiddetti “canoni svizzeri”), sia pure abbastanza simili. Non sceglierle mai, lasciando piena libertà ad altri di usarle. Perché? Perché “secondo me” sono le preghiere eucaristiche “dei professorini”, esattissime nel non tralasciare nessuna citazione implicita o esplicita, ricche di riferimenti al Vaticano II, ma alla fine il prodotto tipico di scolari “più diligenti che intelligenti”, nel senso che sono piene di erudizione e di attenzione, ma carenti di... ispirazione! Per contro una sola parola della PE1 è più ispirata di tutto quel vociare.

I PREGI DEL CANONE ROMANO
Torniamo al canone romano. Lugaresi ha sottolineato alcuni pregi. Mi permetto di evocarne altri: gli aggettivi “sante e venerabili” associati alle mani di Cristo e l’aggettivo “beata” associato alla passione; il realistico “salvaci dalla dannazione eterna” sostenuto dalla richiesta “accoglici nel gregge degli eletti”; la preghiera con inchino perché l’angelo santo porti l’offerta sull’altare del cielo, che corregge una confidenza troppo disinvolta con Dio, mentre invece abbiamo bisogno di pregare perché le nostre preghiere/offerte siano accolte; il ricordo delle offerte di Abele, Abramo, Melchisedech, che un tempo aveva strutturato l’iconostasi o almeno l’iconografia intorno all’altare ecc.

Se poi a tutto questo aggiungiamo il sogno - non la realtà perché ad oggi non è possibile - di reintrodurre i segni di croce più abbondanti prima della riforma (da eseguirsi non in verticale o in diagonale ma in orizzontale), la PE1 sarebbe veramente una liturgia che riattualizza il roveto ardente di Mosè (Es 3,1-6), la presenza di Isaia nel tempio dove risuona l’inno serafico al tre volte Santo che purifica le nostre labbra (Is 6,1-7) e l’estasi di Giovanni preso dallo Spirito nel giorno del Signore (Ap 1,10). E si eviterebbe che tante liturgie si strutturino come un prolungamento dell’ufficio parrocchiale o dell’oratorio o, peggio, come uno spettacolo o un comizio (di centrosinistra o semplicemente di sinistra).

Come concludere? Così: «Sta in pace, o Altare di Dio (...). Non so se mi sarà dato di ritornare a offrire sopra di te un altro sacrificio» (Preghiera siro-maronita in Compendio del CCC, p. 174).