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IN PRIMO PIANO

Primarie USA al via in Iowa. I Repubblicani sono ben piazzati

  • Comincia oggi la lunga corsa alla Casa Bianca, e comincia dalla "provincia americana".
  • Barack Obama è azzoppato da mille débâcle, dal troppo osare contro i "princìpi non negoziabili" e dallo scontro con la Chiesa.
  • I Repubblicani paiono invece messi bene.
    Il cattolico Rick Santorum sta rimontando,
    il libertarian Ron Paul va bene, come anche
    il mormone Romney. Le new entry Michele Bachmann e Rick Perry tengono, e i "vecchi arnesi" come Newt Gingrich non sfigurano.

Attualità 03_01_2012
Iowa 2012

 

Ci siamo. L’anno elettorale degli Stati Uniti d’America comincia oggi con il primo vero confronto fra i pretendenti Repubblicani alla Casa Bianca. A sorpresa, in cima ai sondaggi svetta Rick Santorum, l’ex senatore della Pennsylvania, cattolico tutto d’un pezzo e famoso antiabortista, scivolato a suo tempo sulla buccia di banana di un "pasticcio politichese" che gli elettori non hanno mai capito e che così gli è costato assai caro, ma evidentemente più in grado che mai di sfoderare la spada al momento adatto.

Fino a poco tempo fa, i sondaggi lo davano per spacciato anzi tempo. Ma, come sempre, le previsioni sono fatte per essere smentite, e un nonnulla può ribaltare i tavoli. Del resto, già un anno fa La Bussola Quotidiana invitava a tenere desta l’attenzione sul giovane ma esperto Santorum. Gli danno ora del "fanatico", dell’"irriducibile", ma è un prezzo che i cattolici senza aggettivi (quelli cioè che dei qualificativi non sanno che farsene poiché il sostantivo già dice tutto) sono abituati non solo negli Stati Uniti a pagare per comperarsi il diritto pubblico a dire la verità anche nelle infide acque della politica.

Nei sondaggi effettuati pochissime ore prima del voto dal quotidiano The Register di Des Moines, capitale dell’Iowa, Santorum figurerebbe terzo a ridosso di Ron Paul, o addirittura  lo supererebbe di un soffio, ed entrambi sarebbero a poche spanne dal "campione d’inverno" Mitt Romney.

Ora, nelle ultime settimane, quelli che sembravano tenere banco avendo già sbancato gli altri erano appunto Romney e Paul. Ma appena poco prima la fortuna pareva invece incontrastabilmente arridere all’astro di ritorno Newt Gingrich (appaiato sempre a Romney), il quale aveva l'aria di avere sbaragliato la concorrenza di Michele Bachmann, già a propria volta a lungo apparentemente in grado di rubare la scena a colleghi ben più blasonati. E un altro astro montante, il "re della pizza" Herman Cain, è invece scomparso rapidamente dalle scene dopo averle monopolizzate, mentre quel Rick Perry a cui in estate tutto sembrava, stando ai media, possibile ora occupa bene lo spazio che è riuscito a ritagliarsi ma certo non più di quello.

Del resto, non va scordato che The Register, il cui ultimo poll ha il vantaggio di essere recentissimo, solo due giorni prima dava altri numeri, incommensurabili. E pure che solo il 18 dicembre un altro sondaggio effettuato dall’organizzazione Tea Party Patriots di Atlanta, in Georgia (una delle sigle maggiori nella galassia del nuovo mondo conservatore capace di imprimere spinte decisive ai candidati Repubblicani in linea con il suo credo), dava Gingrich favorito con il 31% delle preferenze, la Bachmann seconda con il 28, Romney terzo con il 20, Santorum quarto con il 16 e Paul solo al 3%. Oltre al fatto che un poco ancora prima, il 13 dicembre, un ennesimo sondaggio condotto dal popolo dei "Tea Party" di Cedar Falls, contea di Black Hawk nell’Iowa nord-orientale (una cittadina di poco meno di 40mila abitanti), dava Paul alle stelle con il 73% dei favori, Santorum secondo ma molto distante con un magro 11, e poi Gingrich, Bachmann, Jon Huntsman, Romney e Perry a dividersi le briciole rimanenti.

Peraltro, il sempre bene informato Maurizio Molinari - corrispondente da New York de La Stampa di Torino - dava ieri, lunedì 2 gennaio, e basandosi proprio su The Register, un Santorum passato rapidamente dal 15% al 21%, cioè dal terzo al secondo posto alla pari con Paul e appena dietro il 24% di Romney: ma anche un enorme 41% dei cittadini dell’Iowa aventi diritti al voto ancora indeciso ad horas dal momento x…

Insomma, se ciò indica che tutto è davvero fisicamente possibile, pure significa che l’elettorato americano, mai come oggi, è "imbarazzato" di fronte alle proposte Repubblicane: e una volta tanto non per difetto, ma per eccesso.

 

OBAMA GIÙ, "TEA PARTY" SU

La sfida che parte oggi dall’Iowa rappresenta bene gli Stati Uniti per intero. Continuerà poi, Stato dopo Stato, fino a giugno (lo Stato dello Utah chiuderà il giro il 26 giugno, e poi restano da calendarizzare solo le consultazioni di altri territori in unione politica con gli USA quali Guam e le Isole Marianne Settentrionali) e alla fine tutto sarà deciso nella Convention nazionale in programma a Tampa, Florida, dal 27 al 30 agosto. Lì il popolo Repubblicano (i Democratici effettuano quest’anno primarie solo di facciata, avendo già il proprio candidato) opterà, attraverso i delegati eletti con le consultazioni svoltesi nei singoli Stati, il candidato finale che il 6 novembre sfiderà a singolare tenzone Barack Obama.

Certamente il 2012 è uno degli anni elettorali più annunciati e attesi, certamente tra quelli più pronosticati e preavvertiti, quindi anche tanto (per certi versi) prevedibili quanto sentiti. E per una serie importante di motivi.
Anzitutto perché gli Stati Uniti presagiscono una scossa. Obama bordeggia da tempo nei posti bassi della classifica del gradimento pubblico. Dopo la fiammata iniziale, il suo pallido fuoco ha scaldato pochi cuori, e comunque sempre - supporter immarcescibili a parte - a corrente alterna. Lo scontro frontale su questioni decisive - non solo la questione economica - a cui il presidente ha portato in quattro anni gli americani forse non conosce precedenti. Di presidenti discussi e persino chiacchierati, addirittura controversi, gli USA ne hanno conosciuti tanti, è vero: forse tutti i suoi presidenti americani li sono a diverso titolo e in qualche modo stati. Ma le questioni non negoziabili su cui Obama ha voluto sfidare e quindi impegnare il Paese sono molte, troppe. Da qui nasce il giudizio, Oltreoceano più diffuso di quanto da noi forse si percepisca, che lo descrive come il peggiore presidente della storia statunitense. Un’idea certamente alimentata dai suoi avversari politici, ma che costoro siano giunti a formulare un giudizio tanto tranchant non è cosa di tutti i giorni nemmeno per i più irriducibili tra loro.

In secondo luogo, se è vero che i confronti elettorali conoscono negli Stati Uniti sempre preparazioni remote e lunghe, e se è vero che di fatto gli USA sono "sempre" in campagna elettorale (ogni quattro anni scelgono il presidente e il vicepresidente federali, e ogni due rinnovano per intero la Camera dei deputati nonché un terzo dei senatori federali, senza contare le consultazioni per decidere i governatori, le assemblee legislative di stato e mille altre cariche pubbliche o referendum), è però pure vero che dalle presidenziali del novembre 2008 - quando venne eletto Obama - a quelle del novembre prossimo soluzioni di continuità reali non ve ne sono mai state. Non è - appunto - un dato completamente inedito, ma mai come in questi anni si ha la sensazione che l’elezione di Obama, la vittoria dei Repubblicani alla Camera federale alle elezioni di "medio termine" del novembre 2010 (accompagnata da un ottimo successo relativo anche nel Senato di Washington e nelle assemblee legislative di Stato, nonché da trionfi assoluti nel conteggio totale dei governatori) e le primarie che si aprono oggi siano solo battaglie di una guerra continua per il controllo politico delle istituzioni nazionali, capitoli di una storia unica e semplici rimandi alla resa definitiva dei conti, successo (confortante) parziale dopo successo (appagante) parziale.

 

VIRTÙ AMERICANE

In terzo (e per il momento ultimo) luogo, mai come ora il raccordo fra Partito Repubblicano (meglio: alcuni suoi esponenti) e movimento conservatore sembra, elettoralmente parlando, funzionare. Va sempre infatti ricordato che - al di là delle semplificazioni giornalistiche, talora davvero fuorvianti - Partito Repubblicano e "galassia conservatrice" non sono mai stati la medesima cosa, che le due realtà sono ancora difficili da sovrapporre in modo automatico e che se il Partito Repubblicano si mostra concretamente più conservatore - o capace di catalizzare consensi conservatori - del Partito Democratico cioè è effetto (merito) del suo personale politico, quantomeno di una sua parte. Dunque che si tratta di una contingenza, per quanto virtuosa essa possa essere giudicata al lato pratico.

Che dunque oggi la contingenza sia così vistosa e "invadente" da far quasi dimenticare di non essere un dato strutturale è un aspetto qualitativamente rilevante della sfida in corso, ma soprattutto - visto che per molti versi la cosa costituisce novità - un elemento in grado di condizionare fortemente il dibattito pubblico e il confronto politico anche perché esito di una crescita costante di una costruzione minuziosa.

Per il cattolico - per il cattolico non americano - ciò è di particolare rilevanza visto che negli Stati Uniti l’espressione "conservatore", pur ricca di molta valenze e sfumature, ha diretta e specifica attinenza ai "princìpi non negoziabili". Che cioè negli USA il legame fra cittadini-elettori e personale politico sensibile a essi sia più forte oggi che in altre stagioni, che questo prema in modo decisivo sul confronto elettorale che in quel Paese terrà banco per tutto il 2012 e che ciò possa persino finire per decidere chi siederà alla Casa Bianca è questione non indifferente: e se non altro porta a formulare qualche pensiero forte su ciò che davvero sta a cuore (tanto da esercitare influenze significative sul piano pubblico) a una parte cospicua del popolo degli Stati Uniti.

 

IOWA, "PANCIA" DEGLI STATES

Da domani si comincerà a soppesare stechiometricamente il responso delle urne dell’Iowa, del remoto, "sperduto" e rurale Iowa in cui tutto è ancora possibile, ma dove la corsa fra buoni candidati si fa più appassionante ogni giorno che passa.

Nonostante a bruciapelo tutti noi faremmo fatica a tracciarne con sicurezza i confini su una cartina muta degli States (figuriamoci a proferire qualche monosillabo in più sul suo conto), sono lande tipo quelle dell’Iowa quelle che evochiamo quando parliamo della "provincia americana".
Il nome glielo dà una tribù indiana di ceppo sioux che al tempo abitava da quelle parti e i suoi connotati esemplificano bene gli Stati Uniti per intero, anzi gli statunitensi, pregi e difetti, virtù e contraddizioni, perché anche l’Iowa non conosce mezze misure: d’estate fa un gran caldo e d’inverno, per diversi mesi l’anno, cala il freddo semipolare, tanto da costringere gli abitanti a sviluppare i colori e le bellezze della vita vissuta dentro e non fuori gli edifici, strade e vie cittadine comprese.

I cristiani lì sono la maggioranza (75%) solo perché anche la "provincia americana" subisce tristemente la secolarizzazione (il 15% dei suoi abitanti si dichiara atea e solo il 5% professa fedi non cristiane): di questi, il 51-52% è protestante, ma ciò dice che - come in tutti gli USA - i cattolici sono la maggioranza. Relativa, certo, ma di una forza imperiosa. Infatti, se alcuni fedeli protestanti possono lecitamente frequentare questa o quella denominazione di origine luterano-calvinista senza particolari problemi dottrinali o disciplinari, certe denominazioni protestanti sono talora fra loro più nemiche di quanto siano a certe condizioni "amiche" dei cattolici, e così la minoranza di questi ultimi si fa qualificata e creativa al punto da divenire determinante. In Iowa, per esempio, il 23% dei cattolici surclassa il 16% di luterani, il 13 di metodisti, il 5 di battisti, e così via.

In Iowa è nato John Wayne e il suo territorio, già parte del vicereame della Nuova Spagna, quindi della francese e françoizant Louisiana (un territorio vastissimo esteso dal Canada al Golfo del Messico, ben più ampio dell’omonimo Stato odierno), fissa la capitale nella città di Des Moines, il cui etimo transalpino grida al mondo che la colonizzazione europea di quelle terre porta indelebile ab ovo le tracce di missioni monastiche.

Con meno di 3 milioni di abitanti, l’Iowa è un territorio "spopolato" come gran parte degli USA. Fatto di foreste e canyon, vive molto di agricoltura e sa ancora di trapper. Nella Guerra di Secessione (1861-1865) si schierò decisamente a favore del Nord, ma ebbe una enorme componente filosudista (gente d’immigrazione) e di "terzisti" che comunque non volevano la guerra. Ne ho visti di deputati alla "Camera bassa" girare con la perfettamente legale rivoltella riposta nella fondina sotto la giacca, ma la pena di morte in Iowa è stata abolita nel 1965.

 

DEMOCRAZIA DIRETTA

Le primarie statunitensi partono dall’Iowa per una di quelle leggi consuetudinarie che negli USA diventano poi regola fissa e vincolano più dei codici scritti. È così per motivi in sé casuali dal 1972, e da allora tutti cercano di fare bella figura con questa prova d’esordio. È una diceria che chi riesce bene nell’Iowa abbia poi la strada spianata per il resto delle primarie, ma nessun candidato politico ha mai voluto sfidare apertamente questa credenza grassroots.

Le primarie dell’Iowa sono insomma un test altamente rappresentativo il cui risultato può essere semmai ribaltato, ma non snobbato. A tutti gli effetti, insomma, l’Iowa "pancia dell’America" è la star del momento. E dire poi che le sue primarie sono completamente diverse da tutte le altre.
A differenza che altrove, infatti, si tratta di una serie di eventi elettorali concomitanti - quest’anno fissati appunto a oggi -, uno per ognuna di quelle contee dello Stato che ne spezzano la mappa in parallelogrammi di dimensioni pressoché uguali tirati con il righello che corre per meridiani e paralleli. Ovvero 99. Ogni contea elegge delegati per le Convenzioni di contea (99 pure quelle), i quali a propria volta scelgono i delegati da mandare alla Convenzione di distretto congressuale (il distretto congressuale è la circoscrizione elettorale cui negli USA spetta eleggere un deputato alla Camera federale di Washington, oggi ve ne sono 435 ognuno rappresentante circa 600mila cittadini) e alla Convenzione di Stato, e questi eleggono poi i delegati per la Convenzione di partito (quest’anno a fine agosto) che decideranno con ulteriore voto il candidato presidenziale finale di detto partito.

E i delegati delle 99 Convenzioni di contea dell’Iowa vengono scelti da assemblee particolari che votano in modo particolare: si chiamano caucus (termine di origine oscura e di epoca coloniale su cui aleggia una certa "matrice" indiana), si svolgono in "luoghi variamente delimitati" (un edificio, magari una fattoria) detti appunto precinct e sono delle piccolissime riunioni a cui prendono parte pochi cittadini; in Iowa ce ne sono 1784, votano spesso in modo palese nella sostanza (se non addirittura nella forma) e offrono una rappresentanza capillare, autenticamente popolare. Un vero pezzo di americanità, dunque, a cui appunto nessuno si sogna di rinunciare.

 

ANCHE SE ANDRÀ MALE, ANDRÀ BENE

Da domani il risultato dell’Iowa comincerà a far sognare qualcuno, a far stringere i denti ad altri, a cercar di vaticinare l’impossibile ad altri ancora. Ma una cosa è evidente a chiunque. Tutti i candidati Repubblicani oggi in lizza, nessuno escluso, si presentano all’elettorato forti nella difesa dei "princìpi non negoziabili": libertà di educazione e di religione, difesa del matrimonio monogamico eterosessuale, difesa del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale.

Sì, è vero: qualcuno suona più fariseo di altri, qualcuno solleva distinguo che per altri sono intollerabili. Ma non è mai successo prima d’ora che l’offerta Repubblicana sia tutta di questa omogeneità, come se oggi in quel Partito le correnti liberal non trovassero più spazio.
Per molti aspetti, Newt Gingrich è un "vecchio": ma il campione della "rivoluzione conservatrice" del 1994 esercita ancora parecchio appeal sul popolo eticamente sensibile. Gli rinfacciano di amare così tanto la famiglia da avere avuto tre mogli; la terza, però, cattolica, lo ha convertito al cattolicesimo, "cancellando" i precedenti matrimoni…

Chi lo rimprovera di essere stato a volte titubante sull’aborto è del resto Ron Paul, uno che è la quintessenza del capitalismo rampante (abolirebbe la Federal Reserve domani alla faccia di certi "liberisti" di casa nostra tutti Banca Centrale e governo Mario Monti) e assieme un ginecologo prestato alla politica pro-life con pochi pari.
Rick Perry non va a genio a tutti i quartieri dell’universo antiabortista, ma non si conosce un solo pubblico difensore del diritto alla vita in tutta la storia dell’universo mondo che sia riuscito a mettere d’accordo quell’universo "santamente" litigioso.
Qualcuno insinua maliziosamente che Michele Bachmann non ami i cattolici, ma sulle cose che contano di intransigente come lei c’è solo il cattolico Rick Santorum.
Herman Cain si è già ritirato per uno scandalo sessuale assolutamente presunto, ma sui "non negoziabili" teneva bene.

Eticamente parlando il più "debole" di tutti parrebbe il candidato che nel 2008, quando fu eletto Obama, figurava tra i più forti: Mitt Romney, zavorrato dall’essere mormone, e quindi inviso a molti protestanti e cattolici "seri" come "non americano" (la stessa accusa, curiosamente, a suo tempo rivolta ai cattolici dai calvinisti più radicali), ma in realtà assai più "fedele" di molti cattolici progressisti.
Mettiamoci sullo sfondo la guerra oramai aperta tra Obama e la Chiesa Cattolica che è negli Stati Uniti e tutto fa presagire che, davvero, male che vada andrà bene.