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DIMISSIONI DEL GIUDICE KENNEDY

Provvidenziale cambio della guardia alla Corte Suprema

Anthony McLeod Kennedy, si dimette il 31 luglio.Ora al presidente Donald J. Trump si presenta un’occasione, perché può nominare un conservatore e ribaltare i rapporti di forze all'interno della Corte Suprema Usa per i decenni a venire. Sarebbe la riaffermazione dei valori della Costituzione, che i giudici liberal hanno troppe volte travisato.

Esteri 30_06_2018
Anthony Kennedy

Ci siamo. La notizia a lungo attesa, anticipata da indiscrezioni nei mesi scorsi, sussurrata a denti stretti più per scaramanzia che per paura di vere smentite, adesso è ufficiale. Il giudice della Corte Suprema federale degli Stati Uniti d’America, Anthony McLeod Kennedy, si dimette il 31 luglio. Il possibile è diventato probabile e il probabile è diventato certezza. Ora al presidente Donald J. Trump si presenta un’occasione per la quale vale la pena spendere, una volta tanto, parole grosse: un’occasione d’oro, una occasione storica. Un’occasione sperata, ma non del tutto sempre prevedibile: quella d’imprimere al tribunale statunitense di ultima istanza una svolta decisiva capace di modificare, legislativamente parlando, il Paese nel profondo e sì, stavolta per il bene. La legge fa costume: non bisogna essere dei princìpi del foro per rendersene conto, basta passeggiare quotidianamente in mezzo alla gente. E che nella massima magistratura giuridica del Paese più importante del mondo possa finalmente sedere un uomo nuovo che sposti il baricentro di quell’augusta assise, dando la maggioranza ai conservatori, non è cosa di poco conto.

Ora, auspicare che nella Corte Suprema degli Stati Uniti la maggioranza vada ai conservatori non è un gesto di sgradevole partigianeria politica. Un mondo, qual è il nostro, che vive solo d’istinti e di revanscismi ideologici fatica a capirlo, e spiegarlo non è sempre semplice. Ma se i giudici di orientamento conservatore avranno la maggioranza dentro la Corte Suprema di Washington, il criterio ultimo e unico dell’attività legislativa del Paese tornerà finalmente a essere soltanto la Costituzione federale. Non le interpretazioni soggettive, non le letture classiste, non le ubbie ideologiche, e nemmeno le “penombre del testo” o quel che vi starebbe scritto “fra le righe” e che, nei decenni, è servito per accreditare a livello legislativo una baggianata come il diritto “alla privacy sessuale” con cui si sono legalizzati gli anticoncezionali prima, l’aborto poi e le pillole killer dei giorni dopo alla fine. Tornerà sovrana, cioè, la Costituzione federale in cui nulla di tutto questo è scritto, e nemmeno che il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso è una libertà finalmente ottenuta e il transgenderismo una conquista di civiltà. La Costituzione federale degli Stati Uniti è infatti solo uno strumento tecnico che amministra più che egregiamente la convivenza politica fra gli uomini da duecento anni senza né scossoni né stravolgimenti: è la più antica legge fondamentale scritta oggi in vigore nel mondo. Figlia di un Paese nato prima che la Rivoluzione Francese (1789-1799) compisse i propri scempi, figlia di un mondo precedente: problematico sì, ma precedente, e non è cronolatria.

La Costituzione federale è infatti uno strumento squisitamente tecnico perché gli Stati Uniti non si fondano sul concetto illuministico, caro al positivismo giuridico, secondo cui la fonte del bene e del male è la legge scritta degli uomini. La cultura giuridica degli Stati Uniti privilegia piuttosto quella che si chiama “costituzione non scritta”: la morale che fa la legge. Un tempo negli Stati Uniti questo era senso comune: ora troppe acque nere sono passate sotto i ponti e i più non ricordano, ma quel Paese è nato ed è fatto così. Sta tutto (no, non tutto, ma moltissimo sì) nel bel libro di Russell Kirk (1918-1994), il padre della rinascita conservatrice statunitense nella seconda metà del Novecento, Rights and Duties: Reflections on Our Conservative Constitution (a cura di Mitchell M. Muncy, introduzione di Russell Hittinger, Spence, Dallas 1997): è importante ricordarlo nel centenario della nascita di Kirk.

Ebbene, la “costituzione non scritta” è l’insieme di mores (alla latina) e di customs (all’inglese) che costituisce l’ethos caratterizzante l’esperienza storica (non l’esperimento gnostico, qui il riferimento implicito è al politologo tedesco-statunitense Eric Voegelin [1901-1985]) di quel popolo, di quel Paese. Sono i princìpi cui esso fa riferimento, i suoi valori e non solo i prezzi, la sua visione delle cose, la sua etica pubblica. Questa “costituzione non scritta” è dunque ciò che poi ha prodotto un “mero strumento” di normazione qual è la Costituzione federale (e la Dichiarazione d’indipendenza del 1776 che pone il diritto alla vita alla base di tutto), ma senz’alcuna pretesa di sostituzione. I conservatori americani amano ripetere che quel che è bene e quel che è male non lo si impara certo da uno chiffon de papier pur importante, lo si apprende dalla Bibbia.

La Costituzione federale non ha insomma il potere di alterare l’ethos del popolo e la natura degli uomini che lo costituiscono. Anzi, ha il dovere d’impedire sistematicamente che ciò avvenga. Ecco perché in quel Paese un conservatore è anzitutto un guardiano della Costituzione federale: perché difende la “costituzione non scritta”, cioè l’anima (degli uomini) del Paese. Ora, gl’ideologi non lo comprendono (non lo vogliono fare), ma questa posizione difende anche chi in questa posizione non crede. Solo un giurista conservatore saprà infatti impedire che lo Stato diventi il padre-padrone di tutto e che un Hitler qualsiasi massacri gli omosessuali, mentre al contempo, quel conservatore, sentenzia che il “matrimonio” fra persone di sesso uguale è una bestemmia contro la natura normativa data dell’uomo.

Giovedì 28 giugno il giudice Kennedy ha dato l’addio alla suprema toga indirizzando a Trump una lettera di sette righe. Ha 81 anni e non ce la fa più. È un suo diritto. I giudici della Corte Suprema federale, nove in tutto, di cui un presidente, sono eletti a vita e possono dimettersi solo per ragioni di salute. È il caso di Kennedy, in carica in quell’assise da poco più di 30 anni. Cattolico, californiano, fu nominato da Ronald Reagan (1911-2004) ed entrò in carica il 18 febbraio 1988 dopo che la candidatura del gran conservatore Robert H. Bork (1927-2012) fu bocciata dal Senato dominato dai liberal. Del conservatorismo Kennedy si è rivelato non certo un campione, ma Reagan non poteva prevederlo. Il più delle volte si è schierato assieme ai colleghi della Sinistra, e nella maggior parte dei casi su questioni inerenti i princìpi non negoziabili. In questo modo, i numeri pari dei conservatori e dei liberal nella Corte Suprema sono stati sbilanciati a sinistra dal “concorso esterno” dell’“indipendente” Kennedy un numero inverecondo di volte (peraltro con qualche importante eccezione, per esempio nel famoso caso del pasticcere Jack Phillips).

Le dimissioni di Kennedy riportano dunque la situazione in parità: John G. Roberts (il presidente), Neil Gorsuch, Clarence Thomas e Samuel A. Alito Jr. sono i conservatori; Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Elena Kagan e Sonia Sotomayor i progressisti. Ora tocca a Trump.

Gli Stati Unti sono un Paese dai mille enormi difetti, ma pure di qualche benedetta virtù. Il sistema, garantito appunto dalla Costituzione federale, impedisce le crisi di governo, salva l’esecutivo dalle pastoie parlamentari e separa sul serio i rami del potere. Allo stesso tempo li lega in un abbraccio costruttivo tale da garantirne il riequilibrio vicendevole. È il presidente (oggi Trump) che nomina i giudici federali, in primis quelli della Corte Suprema, e questo permette alla Casa Bianca, se ne ha l’occasione, d’indirizzare seriamente il tribunale supremo. Che questo però non divenga dispotismo lo garantisce il Senate Committee on the Judiciary, che deve vagliare la nomina presidenziale e decidere. Il boccino passa allora al Congresso, che, se in linea con la Casa Bianca, come oggi, può vidimare in modo rotondo la scelta presidenziale. Che questo non configuri un dispotismo rientrante dalla finestra dopo essere uscito dalla porta lo garantisce il fatto che il Congresso è eletto dai cittadini. Il giudice che rimpiazzerà Kennedy lo hanno insomma remotamente voluto gli elettori americani. Non è un sistema perfetto, quello degli Stati Uniti, ma non è malaccio. Il “miracoloso” evento che ha portato Trump alla Casa Bianca e il 115° Congresso a essere composto com’è oggi composto permetterà che la “costituzione non scritta” torni a governare sovrana negli Stati Uniti, e questa è una notizia da brindisi. Anche per i non conservatori. Trump nominerà infatti un ottimo giudice come ha fatto nominando Gorsuch nell’aprile 2017. E questo è ciò che più conterà nei libri di storia: come il fatto che ciò che più storicamente conta nella presidenza di George W. Bush Jr. (protestante) è l’avere nominato per la Corte Suprema federale ottimi conservatori come il presidente Roberts e il giudice Alito (cattolici). Trump sarà un pessimo presidente soltanto se mancherà a questo appuntamento clamoroso con la storia, sbucciando l’assist allungatogli dalla Provvidenza.