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IL RAPPORTO Unhcr

Rifugiati in aumento, le colpe dei soliti regimi noti

Si aggrava la situazionne di rifugiati e sfollati nel mondo. Nell'ultimo Rapporto Unhcr si passa da 82,4 milioni di assistiti rispetto ai 79,5 milioni dell’anno precedente. L'appello dell'agenzia Onu contro i "soliti" regimi: Sudan del Sud, il Venezuela di Maduro, i clan somali e i gruppi jihadisti, bande armate, organizzazioni criminali in Africa, Asia e America Latina. 

Esteri 20_06_2021
In fuga dalla guerra nel Tigray

Il 20 giugno ogni anno si celebra la giornata mondiale del rifugiato e per l’occasione l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) pubblica un rapporto sulla situazione dei profughi, rifugiati e sfollati, sotto suo mandato. I dati dell’ultima edizione, appena diffusi, si riferiscono al 2020 e indicano, come ormai succede da anni, un consistente aumento delle persone costrette ad abbandonare le loro abitazioni per sottrarsi alla violenza di guerre e persecuzioni. I rifugiati sono 26,4 milioni, gli sfollati 48 milioni, a cui vanno aggiunti 4,1 milioni di richiedenti asilo e 3,9 milioni di venezuelani all’estero con status e situazioni legali diverse. In tutto si tratta di 82,4 milioni di persone rispetto ai 79,5 milioni dell’anno precedente. Nel totale l’Unhcr comprende però anche 5,7 milioni di palestinesi che sono sotto mandato dell’Unrwa, l’Agenzia per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi del Vicino Oriente costituita dall’Onu nel 1949. Quindi i rifugiati sotto mandato dell’Unchr sono 20,7 milioni. L’agenzia Onu nel 2020 si è fatta inoltre carico di altri 9,7 milioni di persone: rifugiati rimpatriati, sfollati tornati a casa e apolidi.

“Poiché i leader mondiali sembrano incapaci o privi di volontà di far pace – ha detto l’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi nel presentare il rapporto – un numero sempre crescente di persone ne fa le spese. La Giornata mondiale del rifugiato deve servire a ricordare con fermezza ai politici che bisogna fare di più per prevenire e risolvere i conflitti e le crisi; che è imperativo proteggere tutti, a prescindere da razza, nazionalità, credo e altre caratteristiche; che occorre denunciare e combattere le ingiustizie invece di fomentare divisioni e odio; e che si devono trovare soluzioni concrete e durature alle crisi invece di accusarsi a vicenda o diffamare le vittime”.

Grandi non ha fatto nomi, ma i politici ai quali il suo appello era rivolto sono noti: tra gli altri, Salva Kiir e Riek Machar, nel Sudan del Sud, responsabili di un conflitto iniziato nel 2013; Nicolàs Maduro, che ha portato al collasso il Venezuela; i leader dei clan somali che da 30 anni si contendono le cariche politiche incuranti della sorte dei loro connazionali. Altrettanto responsabili sono i politici colpevoli di non garantire sicurezza e giustizia lasciando grandi porzioni del territorio nazionale e dei suoi abitanti alla mercé di gruppi jihadisti, bande armate, organizzazioni criminali, movimenti antigovernativi privi di scrupoli. Succede in Nigeria, Repubblica Centrafricana, Burkina Faso, Mozambico, Haiti, Colombia e altri stati ancora in Africa, Asia e America Latina. Dove invece i governi mostrano di saper reagire, succede che lo facciano senza riguardo per la popolazione civile: il caso più clamoroso è forse quello dell’Etiopia dove un premio Nobel per la pace, il primo ministro Abiy Ahmed Ali, sta combattendo, al costo di una crisi umanitaria che a quanto pare coinvolge 5,2 milioni di persone, il Fronte popolare di Liberazione del Tigray.

Per quel che riguarda i rifugiati, il rapporto evidenzia che il 68 per cento è originario di cinque paesi: 6,7 milioni sono siriani, 3,9 venezuelani (come si è detto, però non tutti detentori dello status giuridico di rifugiati), 2,6 afghani, 2,2 sud sudanesi e 1,1 birmani. Il 73 per cento dei rifugiati e dei venezuelani all’estero attualmente vive in paesi che confinano con quello di origine. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati prevede infatti che le richieste di asilo siano presentate nel primo paese in cui si entra dopo aver lasciato il proprio. Gli stati che ospitano più rifugiati sono la Turchia (3,7 milioni), Colombia (1,7 milioni), Pakistan (1,4 milioni), Uganda (1,4 milioni), Germania (1,2 milioni).

È da rilevare che, come negli anni scorsi, a far crescere il numero dei profughi sono essenzialmente gli sfollati (o profughi interni). Mentre i rifugiati sono passati da 20,4 milioni nel 2019 a 20,7 milioni, gli sfollati da 45,7 milioni sono diventati 48 milioni. Spesso i più difficili da assistere sono loro: per mancanza di infrastrutture, insicurezza dei territori da attraversare e, non di rado, ostacoli posti dai governi. In questo momento, ad esempio, il governo dell’Etiopia nega che sia in atto una emergenza umanitaria nel Tigray.

Secondo l’Unhcr tutto induce a ritenere che la situazione globale nei primi mesi del 2021 si sia aggravata. Un aggiornamento parziale porta infatti nell’anno in corso a oltre 97 milioni le persone da assistere, in 130 stati, con un preventivo di spesa di 8,6 miliardi. La cifra è ingente. Finora circa l’87 per cento dei fondi a disposizione dell’agenzia sono sempre stati forniti da Stati Uniti, Unione Europea e diversi paesi europei. È vitale che anche altri stati e organismi si dimostrino più sensibili e generosi (nell’elenco dei donatori, l’Unione Africana, ad esempio, compare al 79° posto con un contributo di 100.000 dollari, nonostante che i suoi paesi membri “producano” milioni di profughi interni e rifugiati). A marzo il Programma alimentare mondiale e l’Unhcr hanno chiesto con urgenza alla comunità internazionale aiuti supplementari per 266 milioni di dollari per mettere fine ai tagli alle razioni alimentari destinate ai profughi della regione del Corno d’Africa, dell’Africa orientale e dei Grandi Laghi. La mancanza di fondi ha costretto infatti a ridurre le razioni anche del 60 per cento con serie conseguenze per la salute di adulti e bambini.