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Saccargia, un dono per la Sardegna

La basilica di Santa Trinità è il ringraziamento di Costantino I e Marcusa per l'ospitalità dei monaci camaldolesi per loro che si recavano presso un santuario a invocare la Vergine per il dono di un figlio.

Cultura 22_08_2015
Basilica di Saccargia (int.)

Basilica di Saccargia (int.)

In epoca altomedievale i legami con l’impero orientale bizantino si allentarono a tal punto che la Sardegna si organizzò in regni autonomi detti giudicati. È al giudice di Torres, Costantino I, e alla moglie Marcusa che si deve la costruzione della basilica di Santa Trinità di Saccargia, nell’attuale territorio del Comune di Codrengianos, in provincia di Sassari.

Nelle antiche cronache si legge che i due coniugi, partiti alla volta di un santuario per implorare alla Vergine il dono di un figlio, durante il pellegrinaggio furono ospitati dalla comunità dei monaci camaldolesi. Una volta nato il tanto atteso erede, futuro Gonario II di Torres, Costantino e Marcusa fecero dono ai monaci di una più ampia chiesa che i religiosi adottarono come loro abbazia i cui resti sono ancora oggi visibili. Consacrata nel 1116, la basilica della Santissima Trinità di Saccargia è senza dubbio il più rilevante monumento romanico dell’intera Regione.

Basilica di Saccargia

Priva di una propria tradizione artistica locale fin dal tramonto della civiltà nuragica, la Sardegna recepì modi e stili costruttivi dalle maestranze provenienti dalle città marinare a lei alleate. Tra queste c’era anche Pisa: Saccargia è un bellissimo esempio di questa felice ingerenza culturale, come si evince subito dall’alternarsi, sulle superfici esterne, di filari di conci di calcare bianco e basalto nero. Ai Pisani sono da attribuire i lavori di ampliamento che modificarono il semplice assetto originario dell’edificio. Furono sempre loro che ne allungarono l’aula, ne innalzarono le pareti, costruirono una nuova facciata e l’altissimo adiacente campanile.

Il prospetto principale è preceduto da un portico con tetto a capanna, le cui arcate poggiano al centro su colonne dai capitelli decorati da quattro figure alate mostruose. Due teorie di archi, con motivi a losanghe e ruote concentriche, movimentano la superficie soprastante. L’impianto è a croce commissa e a navata unica. Dal transetto si aprono tre absidi, di cui quella centrale più ampia e spaziosa. Solo qui s’interrompe l’estrema sobrietà dello spazio interno: l’abside è, infatti, rivestita completamente da affreschi neotestamentari che risultano essere il ciclo pittorico murale più integro e meglio conservato di tutto il territorio sardo, opera, secondo gli studi più recenti,  di un anonimo artista umbro laziale attivo verso la fine del XII secolo. Al centro del catino absidale il Cristo benedicente, racchiuso in una mandorla, è affiancato da angeli, arcangeli e serafini con ali di colori diversi. Nella fascia mediana gli Apostoli circondano la Vergine orante. Scene della vita di Gesù raccontano la Passione di Cristo nel registro inferiore.

 

I buoi che compaiono sulla cornice del pilastro sinistro del portico d’ingresso sono, forse, all’origine dell’etimologia della chiesa. Saccargia deriverebbe, infatti, dall’espressione dialettale “sa vacca arza”, ovvero, la mucca dal pelo maculato. La leggenda narra che quotidianamente una vacca fosse solita raggiungere il luogo dove oggi sorge la chiesa per offrire il proprio latte ai monaci.