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(DIS)EDUCAZIONE

Scuola, la riforma nascosta: imporre il gender

Approfittando della pausa domenicale, della distrazione dell'opinione pubblica e del polverone sollevato dalla riforma scolastica, il Pd riesce a introdurre un emendamento che introduce l'insegnamento alla parità di genere nelle scuole di ogni ordine e grado. Perché così tante leggi sul gender? Perché sono così nascoste?

Educazione 05_05_2015
Gender a scuola

I prestigiatori usano, tra le molte, una tecnica davvero efficace. Distraggono la vostra attenzione su un loro gesto assai appariscente, ad esempio della mano destra, e nel nascosto di un polsino della manica di sinistra preparano il trucco. E’ ciò che hanno fatto alcuni deputati del Partito Democratico usando questa tecnica addirittura due volte contemporaneamente. Mentre il popolo italico era in pieno relax domenicale gli onorevoli del PD, il 3 maggio scorso, hanno votato a maggioranza un emendamento “gender” da inserire nel disegno di legge sulla riforma della scuola che attualmente è all’esame della VII Commissione cultura della Camera. L’ozio domenicale, anche dei colleghi di altri partiti, si sa che aiuta ad abbassare la guardia, ad attenuare la soglia di vigilanza. Quelli del PD hanno poi tentato di occultare la manovra nascondendo l’emendamento in quella leggiona che dovrebbe mutare il volto della scuola. Il classico ago nel pagliaio.

Questo per quanto riguarda i modi. Ma passiamo al contenuto. L’emendamento vuole inserire l’insegnamento della cosiddetta “parità di genere” nelle scuole di ogni ordine e grado. La proposta viene della consulente del Presidente del Consiglio in materia di Pari opportunità, Giovanna Martelli. Se l’emendamento vedrà la luce avrà questo tenore: “Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità di genere, la prevenzione alla violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle relative tematiche”. La modifica di legge si rifà esplicitamente all’art. 5 lettera c della legge 119/2013 volto a “promuovere un'adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere e promuovere, […] nella programmazione didattica curricolare ed extra-curricolare delle scuole di ogni ordine e grado, la sensibilizzazione, l'informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo”.

Ora non si contano più quante sono le iniziative di promozione della cultura di genere – che predica una divaricazione tra l’identità sessuale e quella psicologica – nelle scuole. C’è ad esempio il disegno di legge Fedeli. Il titolo del Ddl già spiega il contenuto: “Introduzione dell'educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”. Poi ci sono le recentissime “Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo” sempre provenienti dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Miur) e il protocollo di intesa firmato dal Miur insieme all’organizzazione tutta in rosa Soroptimist dal titolo “Promuovere l’avanzamento della condizione femminile e prevenire e contrastare la violenza la discriminazione di genere mediante un corretto percorso formativo in ambito scolastico”. Se dai rami scendiamo alla radice di questo albero genderogico troviamo la madre di tutte queste iniziative. Il famigerato documento Miur/Unar “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”, documento reso applicativo attraverso l’altrettanto famigerata rete Ready che coordina diversi enti pubblici al fine di promuovere la cultura gender in modo capillare nel Bel Paese. Banale a dirsi che il Ddl Scalfarotto sulla cosiddetta “omofobia” è il perimetro di garanzia entro cui si muovono tutte queste iniziative.

C’è da domandarsi perché tanta insistenza, tanto spiegamento di forze per realizzare questo piano diseducativo. Non bastava una sola proposta di legge per tentare di far entrare nelle scuole la gender theory? Questa morsa a tenaglia, questo attacco su più fronti trova il suo perché forse in tre motivazioni. In primo luogo se un virus trova non solo una via di accesso, ma due, quattro o dieci per entrare in un organismo sano e infettarlo, è tutto di guadagnato per il virus. Avrà più chances di vittoria. Quindi se fallisse un disegno di legge sul gender, ci sarebbe poi un emendamento buttato lì in una leggina qualunque che potrebbe funzionare ugualmente. E se anche questo fallisse c’è sempre la legge sull’omofobia e poi corsi per insegnanti promossi dal Ministero e via dicendo.

In secondo luogo la parola “genere” è diventata una parola talismano, una delle rare parole che è entrata nel paniere non Istat, ma del politicamente corretto. Tu politico, magistrato, amministratore della cosa pubblica, docente e uomo di cultura non puoi non usarla, anche se non ci credi molto alla teoria di genere – posto che tu sappia cosa sia – anche se c’entra come i cavoli a merenda con la legge che stai votando – ad esempio quella sulla riforma della scuola - con la sentenza che stai pronunciando, con il regolamento che stai varando per il tuo comune. Poco importa. E’ un dazio che devi pagare perché tutti possano crederti davvero un uomo per bene. E’ come l’epiteto “piè veloce” attribuito ad Achille. Anche quando sta seduto Achille rimane uomo dal piè veloce. E così, oltre ad essere aperti alle differenze, ad aiutare gli ultimi, a promuovere la sostenibilità, ad accogliere i migranti, a battersi per i diritti civili, a dire no agli sprechi, a spingere per l’innovazione, noi tutti dobbiamo lottare contro la discriminazione di genere. Se almeno non pronunci una volta a settimana questa espressione sei un incivile.

Esiste infine un terzo motivo per cui la persona, la famiglia e la collettività stanno subendo questo assedio plurimo da parte delle istituzioni e può essere rinvenuto nel carattere ideologico di tali iniziative. Su un primo versante l’ideologizzato, in genere, è ossessionato da una sola idea, un chiodo fisso che crede in coscienza di dover ficcare nella testa anche di tutti gli altri. Non smetterà mai di scrivere articoli, di parlare in pubblico, di gridare in piazza, di firmare e far firmare petizioni e di proporre leggi su ciò che gli sta a cuore perché non gli basteranno mai i risultati raggiunti, perché ci sarà sempre in giro qualche riottoso, qualche odioso ribelle che non la pensa come lui. In secondo luogo il servo dell’idea unica e universale si sente non di rado perseguitato e a colpi di legge vuole ridurre all’impotenza l’opposizione – fosse anche silenziosissima come quella delle Sentinelle in Piedi – perché percepisce la mera esistenza di persone culturalmente diverse da lui come una minaccia personale. Queste persone sono l’unico “genere” umano da discriminare. Ciò a dire, a specchio, che le uniche differenze da accettare sono quelle che in tutto e per tutto coincidono con le sue idee.