Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santi Filippo e Giacomo il Minore a cura di Ermes Dovico
MODELLI DOMINANTI

Siamo una società di "ribelli" finti e furbetti. Ribelliamoci

Il Sessantotto tra le altre eredità ci ha lasciato il mito del ribelle. Come sempre accade, gli artisti sono stati i primi a identificarsene. Da loro il contagio, come al solito, si è esteso e oggi sono le persone comuni a vivere secondo tali “modelli”. Anzi, più bassa è l’estrazione sociale e più il “modello” è imitato. 

Cultura 19_01_2015
Roberto Benigni

Il Sessantotto, rivoluzione totale, tra le altre eredità ci ha lasciato il mito del ribelle. Come sempre accade, gli artisti sono stati i primi a identificarsene. Gli artisti sono, in genere, personalità più sensibili delle altre e, perciò, spugne della temperie di volta in volta corrente. Da loro il contagio, come al solito, si è esteso e oggi sono le persone comuni a vivere secondo tali “modelli”. Anzi, più bassa è l’estrazione sociale e più il “modello” è imitato. 

L’artista, oggi, deve essere “un po’” anarchico, ribelle, dedito alla débâuche, sempre “libertario” e di sinistra. Ci si faccia caso: non c’è alcun vip, fosse anche un oncologo, che non “confessi” di essere stato, almeno in gioventù, «un po’ ribelle». É ovvio che, quando l’”anticonformismo” diventa di massa, è conformismo del più puro, è piatta mandria e gregge supino. Ma guai a farglielo presente, ché si offendono. Infatti, a furia di dirselo addosso, hanno finito per crederci. Il guaio è che ormai ci credono tutti e il mito del “ribelle” è stato trasferito anche su personaggi che tutti ammirano come Gesù e san Francesco. Ma è proprio vero che l’artista se non è “ribelle” non è? No, è la cosa più falsa del mondo. I grandi maestri del Rinascimento, per esempio, erano cattolicissimi e obbedienti alla Chiesa e alle autorità legittime. Leonardo, Michelangelo, Raffaello vi sembra siano stati “ribelli” e “anarchici”? 

Una volta Tiziano ricevette nel suo studio una visita inaspettata: l’imperatore Carlo V. Per l’emozione gli cadde di mano il pennello. L’imperatore “sulle cui terre non tramontava mai il sole” si chinò a raccoglierlo e lo restituì. Tiziano ne fu così commosso che per tutta la vita tenne quel pennello alla cintura, senza separarsene mai. Eppure si permise di raffigurare Carlo V con un semplice abito nero, senza alcuno sfarzo o segno del di lui smisurato potere. Però, quei grandi maestri, religiosi e obbedienti, morivano nel loro letto, mica alcolizzati o di overdose o suicidi.

Oggi, la cappa totalizzante della cosiddetta cultura laica costringe i credenti a cercare brandelli di sacro dovunque ne sia rimasta traccia, e si va alla (umile o umiliante?) ricerca di qualche vip che non sia pregiudizialmente ateo o anticlericale. In effetti, di atei e anticlericali ce ne sono pochi, gli altri dichiarano, se espressamente richiesti, di apprezzare Padre Pio, san Francesco, Gesù, Madre Teresa. Meglio che niente. Ma qualcuno si entusiasma e fa d’uopo avvertirlo che non è il caso. Certo, è evangelico non spegnere del tutto il lucignolo fumigante, tuttavia non è evangelica nemmeno l’ingenuità. Sì, perché, in verità, vivere da perfetto pagano e accendere una candela in chiesa quando si ha paura o si cerca una raccomandazione è da borghesucci. É vero, ci sono artisti e vip davvero affascinati da Gesù o Francesco o tutti e due. Ma chi non lo è? Si tratta di figure a tutto tondo, che nessuno osa criticare. Infatti, gli affascinati aggirano il problema accusando la Chiesa di avere tradito il “vero” messaggio di Gesù o Francesco. I quali, così, vengono arruolati al politicamente corretto del momento. 

Fabrizio De André, per esempio, per comporre il suo album  La Buona Novella andò a leggersi i Vangeli, sì, ma quelli Apocrifi, scartando a priori quelli canonici. E ne venne fuori un Messia a misura di anarco-esistenzialista. Tutta la produzione deandreiana, del resto, è in stile. Ancora: il Roberto Benigni dei Dieci Comandamenti è lo stesso della Ballata del carcere di Reading, declamata in quel Festival di Sanremo in cui il cantautore Povia fu subissato per la sua canzone Luca era gay. La poesia recitata da Benigni era di Oscar Wilde, perfettamente in linea con uno spettacolo di canzonette che dovette subire una preventiva concione del deputato Grillini. E si potrebbe continuare. Ma subire il fascino di Francesco e Padre Pio e arrestarsi alla fascinazione è, scusate la franchezza, da superficiali. Francesco, Padre Pio e Madre Teresa erano stati affascinati a loro volta da un modello, Gesù Cristo. Il quale, però, ha detto chiaro e tondo che è inutile blandirlo se non si fa quel che comanda. 

In soldoni: se ti piace la figura di Gesù però “da lontano”, la verità è che non te ne frega niente, e non ti si fa un favore a non dirtelo. Anzi, la piaggeria può indurti a pensare di essere ok di fronte al Padreterno, il quale riserva sorprese a te e a chi non ti ha avvertito. La subalternità di certo odierno cattolicesimo alla “cultura” dominante è palmare in tutti quei convegni e kermesse musicali dove vengono invitati artisti e intellettuali (sempre gli stessi) il cui unico titolo di merito è di non sputare nel piatto cattolico, ma è ben chiaro che sono loro a degnarsi. Ma sì, meglio che niente. Anche se a volte viene il sospetto che forse è meglio niente. In effetti, è molto difficile comunicare il messaggio evangelico all’uomo d’oggi e bisogna provarle tutte. Il Papa giustamente dice che il cristianesimo deve essere attrattivo. Solo che “attrarre” vuol dire far venire a sé, non il contrario. E la storia recente è piena di pastori che, a furia di inseguire la pecorella smarrita, si sono smarriti pure loro.