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ONU

Solo gli occidentali devono risarcire la schiavitù e non gli arabi

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Nel corso della nuova Assemblea Generale dell'Onu, il segretario generale Guterres torna a chiedere il risarcimento delle vittime della tratta degli schiavi. Ma solo quella transatlantica, durata quattro secoli. Non una parola per quella islamica, durata tredici secoli.

Esteri 22_09_2023
Mercato arabo degli schiavi a Khartoum

Il 19 settembre, mentre è in corso l’annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite e migliaia di persone – capi di stato, premier, ministri, delegazioni provenienti da ogni parte del pianeta affollano il Palazzo di Vetro – il segretario generale, Antonio Guterres, ha diffuso un rapporto nel quale si deplora il fatto che finora nessun paese abbia tenuto conto in modo esaustivo del passato e abbia affrontato l’eredità contemporanea, le attuali conseguenze dello sradicamento violento di circa 25-30 milioni di africani, ridotti in schiavitù e deportati per più di 400 anni dalla tratta transatlantica.

“Nel contesto dei torti e dei danni storici subiti a causa del colonialismo e della schiavitù – si legge nel rapporto – la valutazione del danno economico può essere estremamente complicata a causa del tempo trascorso e della difficoltà di identificare gli autori e le vittime” Il rapporto sottolinea, tuttavia, che la difficoltà di avanzare una richiesta legale di risarcimento “non può essere la base per annullare l'esistenza di obblighi legali”. Gli stati colpevoli dovrebbero quindi prendere in considerazione una “pluralità di misure” per affrontare le conseguenze della schiavitù e del colonialismo tra cui perseguire la giustizia, offrire riparazioni e contribuire alla riconciliazione.

L’idea che i responsabili della tratta transatlantica degli schiavi africani debbano risarcire in denaro le vittime, ovvero i loro discendenti, oppure fare ammenda in qualche altro modo non è nuova. Più volte è stata avanzata in contesti internazionali, ad esempio in occasione della Conferenza mondiale contro il razzismo, svoltasi a Durban nel 2001, quando anche degli studi legali si erano resi disponibili ad assistere gli afroamericani che intendessero avviare cause di risarcimento. Lo scorso luglio a Bruxelles c’è stato un vertice dei leader dell’Unione Europea e della Comunità di Stati latino americani e caraibici durante il quale è stato concordato un piano di riparazione in dieci punti che include l’esortazione ai paesi europei a chiedere formalmente scusa per la tratta degli schiavi e prevede tra l’altro un programma di rimpatrio assistito per gli afroamericani che desiderano trasferirsi in Africa. Il documento finale contiene un paragrafo in cui si dice che la schiavitù e la tratta transatlantica degli schiavi sono state “tragedie spaventose... non solo a causa della loro abominevole barbarie, ma anche in termini di dimensioni”.

Che dopo tanto tempo si affermi l’esistenza di simili obblighi legali ha spesso sollevato perplessità e non soltanto per le oggettive difficoltà di valutare l’entità dei danni e di individuare vittime e carnefici. Ma la vera obiezione è un’altra. In Africa le tratte di schiavi sono state due: oltre a quella transatlantica, europea, durata quattro secoli, tra il XVI e il XIX, quella arabo-islamica praticata per 13 secoli, dal VII al XIX. Si stima che circa 12 milioni di persone siano state deportate nelle Americhe attraverso l’oceano Atlantico, da 14 a 17 milioni nei paesi arabi attraverso l’oceano Indiano. Entrambe sono state rese possibili dal fatto che la schiavitù era praticata in Africa e dalla collaborazione degli africani disposti a catturare e rifornire i mercati della merce umana in cambio di denaro e merci.  

Giustamente nel rapporto Onu si parla di circa 25-30 milioni di africani deportati, ma non nell’arco di quattro secoli e non solo dagli europei. L’insistenza con cui le Nazioni Unite ricordano la tratta transatlantica e invece omettono di commemorare quella arabo-islamica è parte delle campagne antioccidentali alle quali l’Onu  aderisce da decenni, quando non è essa stessa a promuoverle, con l’obiettivo di presentare quella cristiana occidentale come la peggiore delle civiltà, sola e unica responsabile dei mali e delle disgrazie del pianeta, in questo caso omettendo di parlare di ciò che altre culture e civiltà hanno fatto o stanno facendo.

Anche quella europea non è l’unica colonizzazione del continente africano, ma la terza. La prima, forse la più cruenta, si è svolta nel primo millennio dopo Cristo ed è stata compiuta dal grande gruppo etno-linguistico dei Bantu. Si è trattato di una migrazione plurisecolare grazie alla quale la lavorazione del ferro e l'agricoltura sono state introdotte in gran parte delle regioni subsahariane. I Bantu però hanno respinto le etnie dedite alla pastorizia transumante nelle grandi savane semi aride e hanno decimato i cacciatori-raccoglitori costringendoli a ritirarsi nelle foreste e nei deserti, gli ambienti più inospitali dove tuttora sopravvivono, disprezzati ed emarginati. Dal VII secolo è incominciata la seconda colonizzazione del continente, anch’essa devastante per violenza e impatto destabilizzante. È quella arabo-islamica che, partendo dall'Arabia Saudita pochi anni dopo la morte del profeta Maometto avvenuta nel 632 dopo Cristo, ha conquistato il nord Africa per poi proseguire più lentamente verso sud. Ha diffuso l’islam al quale molte etnie si sono convertite, sistemi politici meglio organizzati, contatti economici più estesi e complessi. Quasi subito le merci più richieste del commercio a lunga distanza sono diventate alcuni prodotti animali – zanne di elefante, pelli… – e gli esseri umani.

L’Assemblea Generale dell’Onu nel 2007 ha istituito la Giornata internazionale in ricordo delle vittime della schiavitù e della tratta transatlantica degli schiavi che ricorre il 25 marzo, per “onorare e ricordare coloro che hanno sofferto e che sono morti per mano di questo brutale sistema schiavistico” e per “diffondere la consapevolezza dei pericoli oggi del razzismo e del pregiudizio”. Quest’anno, come ogni anno, Guterres per l’occasione ha diramato un messaggio nel quale si legge: “La malvagia attività della riduzione in schiavitù è durata oltre 400 anni. Milioni di bambini, donne e uomini africani sono stati vittime della tratta attraverso l’Atlantico, strappati alle loro famiglie e alle loro terre d’origine: le loro comunità distrutte, i loro corpi mercificati, la loro umanità negata. La storia della schiavitù è una storia di sofferenza e barbarie che mostra il lato peggiore dell’umanità. Eppure l’eredità della tratta transatlantica degli schiavi ci perseguita ancora oggi. Possiamo tracciare una linea retta dai secoli di sfruttamento coloniale alle disuguaglianze sociali ed economiche di oggi. E possiamo riconoscere i cliché razzisti resi popolari per razionalizzare la disumanità della tratta degli schiavi nell’odio suprematista bianco che sta rinascendo oggi”.

Nessun giorno ricorda le vittime della tratta arabo-islamica.