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IL PELLEGRINAGGIO LAICO DEI POLITICI

Stasera a casa Pannella, siamo al culto del radicale

Il pellegrinaggio ecumenico dei politici al capezzale di Pannella presenta le caratteristiche del culto religioso delle celebrità. Ma il leader radicale ha trascorso la vita pubblica a combattere la Chiesa: divorzio, aborto, droga, fecondazione, "matrimonio" omosessuale ed eutanasia. E come ricorda Benedetto XVI non possono essere scusanti le battaglie condivisibili, poche, che ha condotto.

Politica 01_05_2016
Pannella con Berlusconi

Il pellegrinaggio ecumenico al capezzale di Marco Pannella, gravemente malato, che coinvolge persone diversissime, presenta tutte le caratteristiche di una religiosità secolare. I sociologi, del resto, lo hanno notato: mentre la religione «di chiesa» è praticata in Occidente da una minoranza, oggi il senso religioso si manifesta in forme secolari e implicite, dal culto delle celebrità fino allo sport e all'arte. Una delle manifestazioni più studiate di questo fenomeno è il culto della defunta principessa Diana d'Inghilterra, che non era una persona particolarmente religiosa.

La relazione fra Pannella e la religione è però più complessa. Quando si vedeva il suo nome sulle liste ufficiali dei candidati alle elezioni si leggeva: «Giacinto Pannella, detto Marco». E nella città natale del leader radicale, Teramo, c'è una Via Giacinto Pannella. No, non gli hanno dedicato una via da vivo - il che, con gli eccessi di apologia del vecchio leader cui assistiamo in questi giorni, forse non stupirebbe nessuno - ma l'hanno intitolata a un suo prozio. Questo prozio, Giacinto Pannella, era un prete, oltre che un rispettato intellettuale locale, interlocutore cattolico di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile.

L'esponente radicale fu chiamato Giacinto in onore del prozio. Non lo conobbe mai, perché nacque tre anni dopo la sua morte. Ma lo conobbero bene i suoi genitori. Il padre di Marco, Leonardo, scandalizzò Teramo sposando una francese, che aveva conosciuto in un viaggio di lavoro e che si vestiva e si comportava in modo troppo libero per una cittadina del Sud degli anni 1920. Fu proprio l'autorevole zio prete a difenderlo e aiutarlo. Marco Pannella scriverà più tardi di avere sempre combattuto la Chiesa senza odiarla «per questo semplice dato di cronaca: perché la persona migliore della mia famiglia era questo prete».

E tuttavia ci sono pochi dubbi sul fatto che Pannella abbia dedicato la vita a combattere la Chiesa. Allevato in un ambiente dove coesistono fascismo e antifascismo - ma mandato regolarmente in vacanza presso i parenti della madre in Francia, dove è esposto a idee laiche e liberali -, alla fine della Seconda guerra mondiale Pannella ha quindici anni ma ha già scelto la sua famiglia politica: il Partito Liberale. Vi farà una carriera rapidissima, diventando nel 1950, a vent'anni, segretario nazionale degli universitari liberali. Poco dopo si laurea a Urbino, con una tesi - dirà poi scritta da altri, perché era troppo impegnato con la politica - critica verso la scelta di dare rilievo costituzionale al Concordato. Il Partito Liberale, specie a Roma dove Pannella si era trasferito con la famiglia fin dagli anni del liceo, era in quegli anni su posizioni fortemente anticlericali. Pannella diventa un leader dell'ala sinistra del partito, dove ha come amico - ma anche rivale - un altro giovane (anche se più vecchio di lui di sei anni) che sgomita per farsi notare, un certo Eugenio Scalfari.

A Pannella, però, il Partito Liberale non basta. Capisce che nelle università la goliardia non è solo un ambiente dove ci si diverte ma può diventare una forza politica. Diventa presidente dell'Unione Goliardica Italiana e la trasforma in una fucina da cui usciranno i futuri leader del Partito Radicale, ma anche socialisti e comunisti, tra cui Bettino Craxi e Achille Occhetto. Frequenta il giornale anticlericale «Il Mondo». Dopo che nel 1954 è diventato segretario del Partito Liberale Giovanni Malagodi, esponente di un'ala sempre laica ma meno anticlericale è più disposta al dialogo con i cattolici, nel 1955 Pannella partecipa, insieme a Scalfari che nello stesso anno lancia il settimanale «L'Espresso», alla fondazione del Partito Radicale. Si considera l'erede del Partito d'Azione, ne ingloba molti antichi esponenti e ne riprende il programma: «svaticanizzare» l'Italia, cioè strapparla alla sua eredità cattolica «modernizzandola» secondo i parametri del laicismo europeo.

L'anticlericalismo, però, non paga alle elezioni. I radicali navigano fra l'uno e il due per cento. E si spaccano: da una parte un'ala guidata da Scalfari privilegia l'alleanza con il PSI in funzione anticomunista, specie dopo l'invasione sovietica dell'Ungheria del 1956. Un'altra ala, guidata da Pannella, insiste sul fatto che l'avversario primo è la Chiesa, dunque la Democrazia Cristiana, e non il comunismo. Propugna dunque alleanze con il PCI in funzione anti-democristiana.

Dapprima escluso dalla direzione radicale, Pannella prende il controllo nel 1962 di un movimento svuotato, dopo che molti dei fondatori hanno aderito ai partiti socialista e repubblicano. Pannella ha in mano un piccolo strumento ma ne può fare quello che vuole. Insiste sui temi anti-cattolici: abolizione del Concordato e introduzione del divorzio. Nel 1967 proclama un «anno anticlericale». Nel 1966 aveva fondato la LID, la Lega Italiana per il Divorzio, che darà un contributo determinante all'introduzione del divorzio nella legislazione italiana nel 1970 e alla sua conferma per referendum nel 1974.

Pannella non si ferma al divorzio. Appena vinto il referendum, nel 1975 si fa arrestare fumando uno spinello in pubblico e inizia una campagna per la liberalizzazione delle droghe cosiddette «leggere». La campagna avrà un momento importante nel vittorioso referendum per la depenalizzazione del 1993 ma Pannella la ha continuata fino ai giorni nostri. Subito dopo il divorzio, Pannella e i radicali pensano a introdurre in Italia l'aborto. Ci riescono in soli quattro anni. La legge sull'aborto è approvata nel 1978 e resiste al referendum abrogativo del 1981.

Sempre nel 1978, Pannella è protagonista di una violenta campagna diffamatoria contro il presidente della Repubblica cattolico, Giovanni Leone, che ? costretto a dimettersi. Nel 1998 Pannella andrà a scusarsi con il novantenne Leone, ammettendo che molte delle accuse che gli aveva rivolto erano false. Grazie a queste campagne, Pannella entra nel 1976 in Parlamento, dove rimarrà per lunghi anni diventando anche deputato europeo nel 1979. E con i fondi elettorali e i contributi pubblici lancia e finanzia quello che diventerà il suo principale strumento di propaganda, Radio Radicale.

La Seconda Repubblica porta nuove battaglie - per la fecondazione artificiale, per il «matrimonio» omosessuale e per l'eutanasia - ed esalta il tatticismo di Pannella, che si allea a seconda delle convenienze con il centro-destra o con il centro-sinistra. La sua bussola rimane sempre quella originaria, azionista e anticlericale: «svaticanizzare» l'Italia. E Pannella, che non è mai stato comunista, ha però letto Gramsci, da cui ha appreso che in Italia l'attacco frontale alla Chiesa Cattolica è impossibile, e questo spiega gli insuccessi del Partito d'Azione.

Si tratta invece di estirpare le radici sociali della religione, «modernizzando» la società secondo i modelli dell'Europa del Nord e della Francia, con un'agenda che prevede, uno dopo l'altro in una sequenza graduale ma implacabile, divorzio, aborto, liberalizzazione della droga, fecondazione artificiale, «matrimonio» omosessuale ed eutanasia. Per questa agenda, spiegherà Pannella, non sono importanti le alleanze e alla fine neppure le ideologie. Le une e le altre sono solo «taxi», su cui si sale e da cui si scende. L'importante è il programma, perseguito con un fervore che non è esagerato definire religioso.

Ci si può chiedere perché, se questo è l'essenziale del suo agire politico e culturale, Pannella sia stato considerato un interlocutore interessante da tanti cattolici, dal l'esponente democristiano Flaminio Piccoli fino oggi a Papa Francesco, senza dimenticare che fu salutato anche da San Giovanni Paolo II. La risposta è duplice. La prima è precisamente il carattere paradossalmente «religioso» non solo del Partito Radicale - tanto spesso paragonato a una setta - ma della stessa vita pubblica di Marco Pannella, che ricorda i modelli del teatro barocco.

I toni istrionici, i pianti, i digiuni e oggi la malattia sono presentati come elementi di una sorta di sacra rappresentazione - di un sacro, evidentemente, molto lontano da quello cattolico - che disgusta alcuni ma affascina altri, anche in ambienti lontanissimi da quello radicale.

La seconda ragione del successo di Pannella presso un certo mondo cattolico è che non tutte le sue battaglie per i «diritti» sono disprezzabili. In particolare, su tre questioni Pannella ha incontrato il mondo cattolico: i cristiani perseguitati e uccisi in diverse parti del mondo - di alcune persecuzioni dimenticate è stato fra i primi a parlare in Italia -, la fame nel mondo, e le condizioni disumane di molte carceri, in Italia e all'estero. È di questi temi che Pannella ha discusso anche con Papa Francesco.

Volutamente, non mi diffondo qui sulle ricorrenti voci di conversione di Pannella. Sono, appunto, voci, e attengono a una sfera privata e personale. Mi occupo del personaggio pubblico e del ruolo che ha avuto nella società italiana. Un ruolo che non si può non giudicare negativamente, dal momento che Pannella ha avuto successo là dove il Partito d'Azione aveva fallito. Muovendosi in modo spregiudicato, senza mai conseguire grandi successi elettorali, Pannella ha effettivamente contribuito in modo unico alla scristianizzazione dell'Italia.

Certo, non un uomo solo e neanche un partito determinano il processo di scristianizzazione e neppure possono pensare di governarlo. Ma uno dei motori di questo processo sono le cattive leggi, e molte di queste - pure firmate da altri - probabilmente non ci sarebbero state, o sarebbero venute molto dopo, senza l'impulso primo di Pannella.

Certo, il pronipote di don Giacinto Pannella ha combattuto anche alcune battaglie giuste. Ma - come suggeriva Benedetto XVI nella «Caritas in veritate» - la confusione fra veri diritti e diritti inventati o fasulli, promossi dalle stesse persone come se fossero tutti di uguale valore e dignità, finisce per compromettere, in un calderone indistinto, anche richieste e battaglie di per sé non disprezzabili.