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IL CASO

Stepchild, la Consulta non ha detto no

Sul caso di stepchild adoption proposto dal Tribunale di Bologna, la sentenza della Corte Costituzionale non ha dichiarato inammissibile l'adozione, come detto da alcuni organi di stampa, ma ha semplicemente rinviato ai giudici la questione, per un errore procedurale.

Famiglia 25_02_2016
Corte Costituzionale

Mentre la stepchild adoption pare essere stata stralciata dal ddl Cirinnà, ecco che la Corte Costituzionale viene chiamata a pronunciarsi proprio su di essa. 

Eleonora Beck e Liz Joffe, coppia lesbica dell’Oregon, si “sposano” e nel 2004 l’una adotta il figlio dell’altra con il benestare del tribunale locale. Una stepchild doppia e incrociata. Le due donne poi vanno a vivere a Bologna e chiedono che il Tribunale dei minori del capoluogo emiliano riconosca anche in Italia tale sentenza di adozione, ma solo per un figlio. I giudici, favorevoli all’adozione, sollevano «sospetto di illegittimità costituzionale» degli articoli 35 e 36 della legge 184/83 che disciplina la materia delle adozioni. In particolare l’inciampo forse maggiore è dato dal comma 3 dell’art. 35 laddove specifica che, in caso di adozioni internazionali, occorra verificare che l’adozione «non sia contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori». La questione su tale punto era già stata vagliata il 23 settembre del 2014 dal pubblico ministero il quale aveva respinto la richiesta di trascrizione dato che il nostro ordinamento prevede «l’adozione del figlio del coniuge solo in presenza di un matrimonio riconosciuto dalla legge italiana». Ma il “matrimonio” gay sul suolo italico – ancora per poche ore – non ha nessun valore giuridico.

Un'altra censura mossa dal Tribunale di Bologna consisteva nel considerare che questi articoli «non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore adottato il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia». Quindi, dato che la legge sulle adozioni – così si argomenta - trova il suo cardine nel supremo interesse del minore, che sia data la possibilità al giudice di verificare caso per caso se questo interesse sia tutelato al di là del fatto che la coppia sia sposata o meno. In tal modo il riconoscimento delle “nozze” gay in Italia sarebbe problema ininfluente e superabilissimo.

I giudici bolognesi avevano poi sparato altre cartucce contro l’impianto della legge 184, la quale pretende, nella maggioranza dei casi, che gli adottanti siano tra loro sposati. Avevano così affermato che la coppia lesbica comunque poteva vantare un rapporto della durata di un ventennio, che il loro “matrimonio” celebrato all’estero non poteva venire più considerato da noi come contrario all’ordine pubblico e che lo stesso concetto tradizionale di matrimonio «non è più condivisibile, alla luce del mutato quadro sociale ed europeo».

Detto tutto questo, però l’inciampo previsto dagli articoli 35 e 36, che disciplinano l’adozione internazionale, rimaneva e dunque ecco chiedere alla Consulta la verifica di costituzionalità di tali articoli. L’Avvocatura dello Stato aveva giudicato inammissibile il ricorso denunciando come molti tribunali ad oggi hanno spesso interpretato la normativa sulle adozioni in modo troppo disinvolto al fine di venire incontro ai desiderata delle coppie gay. La Corte Costituzionale, da parte sua, ha dichiarato inammissibile il ricorso per il seguente motivo di carattere formale: «ll Tribunale di Bologna  ha erroneamente trattato la decisione straniera come un'ipotesi di adozione da parte di cittadini italiani di un minore straniero (cosiddetta adozione internazionale), mentre si trattava del riconoscimento di una sentenza straniera, pronunciata tra stranieri».

La Consulta in realtà non si è pronunciata nel merito, bensì ha ravvisato una irregolarità solo procedurale. In buona sostanza ha detto che le due donne dovevano recarsi presso l’ufficiale di stato civile per chiedere la trascrizione della sentenza americana e non andare invece presso il Tribunale. Questo poteva essere adito solo nel caso in cui l’ufficiale di stato civile si fosse rifiutato di trascrivere l’adozione avvenuta negli States. Quindi la Corte Costituzionale ha deciso di non decidere sulla costituzionalità degli artt. 35 e 36 perché a monte la procedura seguita era erronea. E dunque non è vero, come hanno riportato alcuni giornali, che la Consulta ha dichiarato inammissibile la stepchild adoption. Ha solo detto: rispettate l’iter procedimentale corretto.