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SINGAPORE

Storico summit Trump-Kim. Opportunità da cogliere

Padre che sei nei Cieli, ti chiediamo la manifestazione della Tua grazia sullo storico summit fra Usa e Corea del Nord, qui a Singapore. Questa è l'orazione diffusa in tutta la diocesi di Singapore, in vista dello storico incontro fra Trump e Kim Jong-un. Il primo in assoluto fra un presidente Usa e un dittatore nordcoreano. 

Esteri 12_06_2018
Lo storico incontro fra Kim Jong-un e Donald Trump

“Padre che sei nei Cieli, ti chiediamo la manifestazione della Tua grazia sullo storico summit fra Usa e Corea del Nord, qui a Singapore il 12 di giugno. Noi tutti desideriamo vivere in un mondo dove vi è pace, amore fraterno, attenzione e carità l’uno per l’altro. Senza pace, non ci può essere sicurezza, progresso e futuro per l’umanità. Signore, Ti preghiamo perché illumini i leader politici a lavorare per la pace, la giustizia e l’ordine sociale nel mondo. Possa questo essere l’inizio di un continuo sforzo per costruire relazioni forti, libere dal carico della paura e dal peso del sospetto. Possano le nazioni imparare a fidarsi l’una dell’altra e lavorare per la pace del mondo per tutti gli esseri umani. Madre benedetta, sei il nostro Specchio di Giustizia e Sede della Sapienza, affidiamo a te il summit. Spirito Santo, guida i leader e i funzionari così che ‘un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra’. (Is 2:4). Chiediamo questo per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, Tuo Figlio che vive e regna con Te e lo Spirito Santo, unico Dio nei secoli dei secoli. Amen”. Singapore: questa è l’orazione diffusa in tutta l’arcidiocesi attraverso mezzi tradizionali e con i social media. Si prega per la buona riuscita dell’incontro al vertice, che si è tenuto oggi nella città-Stato del sudest asiatico, fra il presidente americano Donald Trump e il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, per la denuclearizzazione della penisola coreana.

Si è trattato di un incontro storico, da tutti i punti di vista. Non solo per le prospettive che si aprono (potrebbe essere la prima vera pace in Corea dal 1950), ma anche per il fatto stesso che sia un vertice Usa-Corea del Nord, che non ha precedenti. Mai nessun presidente americano aveva accettato di incontrare un dittatore della Corea del Nord, prima di oggi. Occorre dunque interrogarsi bene su quali siano i rischi. Alle 9 ora locale (le 3 del mattino in Italia), Donald Trump e Kim Jong-un si sono incontrati al Capella Hotel di Singapore. Dopo un colloquio a porte chiuse, hanno firmato un documento congiunto per la denuclearizzazione. Il vertice è stato un successo, stando a quanto sostiene lo stesso presidente americano, che ha definito il suo interlocutore "un negoziatore sveglio e abile". "Non era facile arrivare fin qui ma abbiamo superato gli ostacoli", ha commentato Trump. I due hanno sorriso ai fotografi e si sono stretti la mano, in una serie di foto che sono già nella storia.

Kim Jong-un pare offrire per la prima volta un grande scambio, un'occasione che potrebbe essere colta al volo per porre fine a più di mezzo secolo di guerra non dichiarata. Gli obiettivi sono ghiotti: porre fine pacificamente alla minaccia nucleare nordcoreana, porre fine alla guerra con un trattato di pace (per ora è tecnicamente solo una tregua, iniziata nel 1953 con l’armistizio di Panmunjeon) e avviare relazioni diplomatiche con la Corea del Nord. Tuttavia, con “denuclearizzazione” le due parti possono anche intendere cose molto diverse fra loro. E non è ancora chiaro cosa Kim possa chiedere in cambio: eliminare le testate statunitensi solo dalla Corea del Sud (teoricamente non ci sono già più), o da tutta l’area Asia-Pacifico (consegnando, così, alla Cina un vantaggio strategico decisivo)? Trump ha voluto accelerare i tempi e incontrarsi direttamente, faccia a faccia, con la sua controparte. In questo modo gli accordi saranno sicuramente più chiari, ma anche più rischiosi.

Quali sono i rischi? Secondo la delegazione sudcoreana che si è incontrata con Kim Jong-un, la condizione essenziale per un disarmo nucleare è la “garanzia per la sicurezza del regime (nordcoreano, ndr) e la rimozione di tutte le minacce militari contro il Nord”. Per Kim Jong-un, l’atomica è una polizza sulla vita. Come ha più volte ribadito dal 2013, quando il nucleare militare è diventato il cuore della sua dottrina politica, la Corea del Nord intende difendersi con tutti i mezzi da un possibile regime change. Gli esempi della Libia e prima ancora dell’Iraq e della Serbia sono spesso evocati per dire “con le armi nucleari, noi non faremo la stessa fine”. Cosa potrebbe pretendere quale “garanzia” di sicurezza in cambio del disarmo? L’impegno statunitense a non attaccare la Corea del Nord era già contenuto in tutti i precedenti accordi, fra cui quello del 2005 scaturito dai Colloqui a Sei, sponsorizzati da Pechino. Il regime di Pyongyang potrebbe dunque alzare l’asticella delle sue richieste. Ma fino a che punto? Chiederà la rottura dell’alleanza fra Usa e Corea del Sud, inclusa la cancellazione di tutte le garanzie per la sua sicurezza militare? La fine di tutte le sanzioni Onu? La prima, soprattutto, è una richiesta che difficilmente potrebbe essere accolta da Trump, o da qualunque altro presidente americano.

Il rischio, dunque, è che su queste basi domanda e offerta non si incontrino. Perché l’amministrazione Trump punta invece, dichiaratamente, al disarmo nordcoreano. Trump, Pompeo (segretario di Stato) e Bolton (Sicurezza Nazionale) non sono propriamente delle “colombe”. Pompeo ha ricordato che il presidente è disposto ad accettare solo una denuclearizzazione “completa, verificabile e irreversibile”, come da risoluzioni Onu. La linea politica tenuta finora da questo governo, con la sua condanna all’accordo sul nucleare iraniano e la sua critica serrata a ogni appeasement del passato, è a sua volta vincolante: Trump non può trasformarsi in colomba, né creare un precedente per tutti gli altri interlocutori. Sicuramente non potrà accontentarsi di una dichiarazione di intenti, dovrà ottenere qualcosa di estremamente concreto, tangibile e mostrabile alla sua opinione pubblica.

Quindi, per queste e altre ragioni, il futuro può anche non essere roseo. Ma è una chance, che non c’era mai stata in passato. E qui è d’obbligo aprire una riflessione anche sulla copertura mediatica dell’evento. Perché il ruolo di Trump in questa vicenda non è mai abbastanza riconosciuto. Pur riconoscendo i limiti del ragionamento contro-fattuale: se a Singapore, oggi, ci fosse Obama, o la Clinton, cosa leggeremmo sui giornali? Quanta più copertura avrebbe sui media questa vicenda? E quale sarebbe il tono dei corrispondenti? Facile da immaginare: una beatificazione. In questi giorni, al contrario, si sottolinea la differenza fra il pacifista Moon (il presidente sudcoreano che ha premuto per mesi per questo incontro) e il guerrafondaio Trump, addolcitosi, non si sa bene come, solo all’ultimo momento e sorprendendo tutti. In realtà, l’attuale presidente statunitense sosteneva la necessità di incontrare Kim anche durante la campagna elettorale, almeno dal maggio del 2016. Ha dunque dimostrato di aver lavorato coerentemente su questo obiettivo, alternando una concreta minaccia militare a improvvise, quanto sincere, aperture al dialogo. E un primo obiettivo lo ha ottenuto. E’ il summit di Singapore la vera notizia. Il resto sarà dato in più.