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LE PAROLE DI VALDITARA

Togliere (finalmente) all'Anpi il monopolio sulla Resistenza

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Il ministro della scuola toglierà all'Anpi il monopolio sulla Resistenza. Un'occasione per raccontare la guerra civile dando voce ai cattolici che lottarono contro i nazisti, ma caddero denunciando i crimini dei partigiani comunisti. 

Editoriali 21_09_2023

Dicendo che l’Anpi non ha il monopolio della Resistenza, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara non solo ha toccato un nervo scoperto della nostra storia, ma ha anche detto qualcosa di rivoluzionario. Rivoluzionario rispetto alla vulgata che si è imposta da 80 anni secondo cui l’Anpi detiene il monopolio della verità sul tragico biennio che va dall’8 settembre ’43 al 25 aprile e per alcuni casi anche oltre.

Ma anche per il destinatario delle sue parole, la scuola, che nei suoi programmi, salvo iniziative personali di docenti coraggiosi, è rimasta ancora ad una lettura della Resistenza come un movimento privo di qualsiasi criticità, idealizzato e ideologizzato da sinistra.

L’occasione della sua presa di posizione è il mancato rinnovo della convenzione che il Ministero stipula da tempo immemore con l’Associazione di partigiani comunisti per parlare nelle scuole di quei fatti. Valditara è stato molto chiaro: «I valori dell’antifascismo sono anche i miei e la Resistenza è un valore prezioso, però l’Anpi non ha il monopolio della Resistenza». Così aprirà anche alle altre associazioni combattentistiche. 

Lo strepito indignato dei partigiani (leggi QUI le reazioni come se avesse bestemmiato) non è di particolare interesse perché, in fondo, prevedibile. Ma l’Anpi fa il suo mestiere che è quello di tenere viva la sirena dell’antifascismo senza accorgersi che esso – il fascismo – si è ormai spostato su altri lidi. Ma questa miopia deriva dal fatto che ormai, tra i suoi 141mila iscritti, i combattenti che diedero vita all’Anpi sono quasi tutti morti.

Quel che è interessante notare, piuttosto, è che per affrontare quel periodo storico, non può certo bastare una frase, ma sicuramente quella frase potrebbe aprire davvero una nuova pagina non nel senso dell’imposizione di una memoria dei vincitori, ma nella tanto agognata memoria accettata che dentro il movimento chiamato Resistenza si sono celati anche crimini.

Perché togliere all’Anpi il monopolio della Resistenza significa anzitutto dar spazio alla verità del movimento resistenziale, che non può essere disgiunta anche dai suoi errori. Il ministro si riferisce al fatto che dentro il movimento partigiano c’erano anche combattenti cattolici, liberali, azionisti e monarchici. E che fecero la Resistenza anche i soldati che continuarono a combattere i nazisti pur senza darsi alla macchia, ma pagando un prezzo altissimo in termini di libertà, ricordate Giovannino Guareschi?

La lettura critica della Resistenza che questo Paese si merita non può non prescindere anche da un fatto inequivocabile, ma volutamente taciuto nelle ricostruzioni ad uso scolastico e nelle commemorazioni e cioè che dentro il movimento partigiano, molti, non tutti fortunatamente, ma molti partigiani comunisti hanno combattuto due guerre in una: la liberazione dai nazisti e l’affermazione dell’ideologia comunista, in salsa stalinista, per imporre la quale non ci si è fatti scrupolo di passare per le armi con l’accusa di fascisti, semplici nemici di classe come imprenditori, medici, farmacisti, preti e funzionari perché visti come ostacolo all’affermazione del comunismo. Cittadini che non avevano aderito alla Gnr, ma che venivano comunque visti come nemici del popolo.

È questa la pagina più buia del nostro passato che è stata scritta, ma non è stata accettata del tutto. Il Triangolo della morte, per usare un celebre libro di Giorgio Pisanò, grida ancora il suo spazio di verità nel panorama culturale italiano e nei percorsi scolastici.

Ben venga dunque una maggior pluralità di voci nel raccontare la Resistenza agli studenti. Sarebbe l’occasione per far conoscere – finalmente – i grandi eroi della guerra di liberazione che sono stati cancellati perché semplicemente non comunisti.

Prendiamo ad esempio l’esperienza dei cattolici. Qui, la vulgata comunista ha soffocato ogni tipo di esperienza storica, per la verità aiutata anche da cattolici come Giuseppe Dossetti, a sua volta partigiano dell’ultim’ora - dopo essere stato fascista modello -, ma al quale il suo vescovo Giacomo Biffi rimproverava una cecità nel non riconoscere il martirio dei confratelli ad opera dei gappisti che condivisero con lui l’esperienza resistenziale.

Così facendo, gli studenti non hanno potuto conoscere figure di coraggio e abnegazione davvero esemplari. Pensiamo ad esempio al comandante Bisagno, per decenni sepolto dall’oblio perché cattolico. Oggi su di lui si è iniziato ad aprire uno squarcio importante, con la pubblicazione di libri e con la realizzazione di un film.

C’è anche chi, recentemente, ha scritto una canzone su di lui (ascoltala QUI, cantata dal giornalista reggiano Edoardo Tincani con la band Lookin4) mentre da più parti si spinge per la sua causa di beatificazione con il riconoscimento del martirio in odium fidei. Si tratta, dunque, di un protagonista completo della guerra di liberazione, che però, avendo avversato le angherie dei compagni di battaglia comunisti, è stato punito dalla storia con un oblio ingiusto.

Oppure, che dire del comandante Azor Mario Simonazzi, sappista delle Fiamme Verdi, che come noto erano cattoliche. Fu oggetto di un processo sommario due giorni prima della fine della guerra, quando l’ubriacatura ideologica di certi gappisti spingeva a eliminare quei compagni di viaggio che non condividevano la lotta per il Sol dell’avvenir.  

E di Giorgio Morelli, il Solitario, figura luminosa di cattolico e combattente, che avviò con il giornale La Penna la più coraggiosa attività di indagine giornalistica dei crimini commessi dai partigiani comunisti fino a pagare con il sangue la sua difesa della verità. Anche per lui, come per tutti gli altri che presero le distanze dai comunisti (la storia né è piena, dal comandante della Brigata Italia Ermanno Gorrieri al medico “francescano” Pasquale Marconi fino a don Domenico Orlandini, il partigiano Carlo) gli studenti dovrebbero conoscere le gesta.

Ma senza tacere che, oltre che un movimento di liberazione al quale essere grati, la Resistenza è anche stata una sanguinosa guerra civile.