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POLITICA

Travagli a sinistra, ma l'opposizione continua a latitare

La spaccatura tra renziani e antirenziani è sempre più profonda. Se n’è avuta la rappresentazione plastica ieri, con il duello a distanza, lungo l’asse Roma-Milano, tra Pd e “Insieme”, il nuovo raggruppamento creato da Pisapia e Bersani. Però l'opposizione continua a latitare. I pentastellati sono in calo. Il centrodestra sarebbe in vantaggio, ma non riesce a riunirsi.

Politica 02_07_2017
Bersani e Pisapia

La campagna elettorale a sinistra è già entrata nel vivo. La spaccatura tra renziani e antirenziani è sempre più profonda. Se n’è avuta la rappresentazione plastica ieri, con il duello a distanza, lungo l’asse Roma-Milano, tra Pd e “Insieme”, il nuovo raggruppamento creato da Pisapia e Bersani. In verità, già da settimane la figura di Romano Prodi, ufficialmente in campo per unire e federare, sta scompaginando i fragili equilibri tra le diverse componenti del campo progressista. C’è chi sospetta che Prodi sia mosso da istinto di rivalsa per la mancata elezione al Quirinale di qualche anno fa (il tradimento dei 101) mentre altri immaginano che dietro il suo ritorno sulla scena politica ci sia la mano di Mattarella, che vorrebbe provare a riannodare i fili del dialogo tra Renzi e antirenziani, nel tentativo di favorire una ricomposizione e di frenare l’irruenza di Matteo.

Ieri Renzi, chiudendo il raduno dei circoli Pd, ha avvisato che lui parla con tutti ma non si ferma davanti a nessuno. Gli italiani però ricordano che aveva promesso di fermarsi e di abbandonare la politica in caso di sconfitta al referendum del 4 dicembre, cosa che non è affatto accaduta. Anche in quell’occasione alle sue parole non sono seguiti i fatti e quel precedente sembra togliere ogni credibilità ai suoi proclami futuri, come l’annuncio di voler girare in treno l’Italia, a partire da settembre, per fare campagna elettorale. A Milano, peraltro, c’è forte malumore perché Matteo ha fatto anticipare da settembre a luglio la Festa dell’Unità, proprio sperando nel voto anticipato in autunno, e gli organizzatori già temono il flop, considerato che nelle prossime settimane il capoluogo lombardo si svuoterà per le vacanze. Renzi ha rivendicato di aver vinto due mesi fa le primarie e si è rivolto a chi rimpiange l’Unione, guardando al passato.

Considerazioni che hanno indubbiamente un fondamento, vista l’identità dei suoi avversari interni. Ieri in piazza Santi Apostoli a Roma, per battezzare la nuova “casa comune” fondata sull’intesa tra l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia e l’ex segretario Pd, Pierluigi Bersani, c’erano i soliti noti, da Massimo D’Alema a Gianni Cuperlo, certamente intenzionati a candidarsi in Parlamento fuori dal Pd, che invece non li avrebbe candidati per raggiunto limite di numero di mandati. Accanto a loro il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando e il Presidente della Camera, Laura Boldrini. Cosa possono legittimamente raggiungere scissionisti e progressisti non renziani o antirenziani? Superare lo sbarramento ed entrare in Parlamento è l’obiettivo numero uno. Subito dopo, nel caso in cui i loro voti fossero determinanti per formare un esecutivo, chiederebbero che a guidarlo non fosse Renzi. Di qui anche il loro tentativo di proporre un “Gentiloni bis” già prima del voto, ipotesi che Renzi non prende neppure lontanamente in considerazione. Lui sta lavorando sotterraneamente da mesi per far cadere l’attuale premier e tornare a Palazzo Chigi, non intende cedere su questo, che è il vero scopo del suo disinvolto revanscismo di questi mesi.

La prospettiva di un dialogo tra fronte progressista antirenziano e Renzi appare remoto, perché il segretario Pd non vuole saperne di coalizioni e coltiva il sogno di una vittoriosa corsa solitaria. Ipotesi del tutto velleitaria con un sistema proporzionale che, stando agli ultimi sondaggi di ieri, assegnerebbe al suo partito il secondo posto dietro ai Cinque Stelle, e un bottino di voti di gran lunga inferiore al 30%. Ecco perché l’ipotesi governissimo con Berlusconi rimane il piano B di Matteo, che spera nelle divisioni tra l’ex Cavaliere e Salvini, confidando nell’ingovernabilità post-elezioni e nell’esigenza di formare comunque un governo di larghe intese.

Ma i sondaggi pubblicati e commentati ieri da tutti i quotidiani dicono che i pentastellati sono in calo e che il centrodestra ha il vento in poppa. Con una lista unica arriverebbe di gran lunga avanti a tutti, conquistando forse il premio di maggioranza. Ma neppure la lista unica Forza Italia-Lega-Fratelli d’Italia sembra nel novero delle possibilità reali e quindi anche sul versante del centrodestra il cantiere di una ricomposizione è ancora apertissimo.

Se, dunque, il centrosinistra deve leccarsi le ferite di una cocente sconfitta alle amministrative e di crescenti lacerazioni tra le sue diverse anime, il centrodestra, in ottima salute almeno elettoralmente, deve trovare un candidato premier che unisca e vada bene sia a Berlusconi (non candidabile) che a Salvini e Meloni e ai centristi. Il repentino appannamento dell’immagine di Renzi lascia un po’ di tempo in più per sciogliere questo nodo.