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TERRORISMO

Turchia: dopo l'attentato, altre bombe sui curdi

A Gaziantep, nell’Anatolia meridionale, un terrorista suicida, probabilmente un bambino, ha fatto una strage di innocenti a una festa di matrimonio di una coppia di curdi. L’ennesima strage e soprattutto la reazione militare turca, rivolta sia contro l'Isis che contro i curdi (la parte lesa), fanno temere ulteriore instabilità.

Esteri 24_08_2016
Sopravvissuti alla bomba di Gaziantep

Dopo il golpe del 15 luglio scorso, in Turchia non cessano gli attentati che stanno insanguinando tutto l’ultimo anno. Il 20 agosto, a Gaziantep, nell’Anatolia meridionale, non lontano dal confine con la Siria, un terrorista suicida, probabilmente un bambino, ha fatto una strage di innocenti a una festa di matrimonio di una coppia di curdi. I due sposi, Nurettin e Besna Akdogan, sono salvi, ma 54 loro ospiti, fra cui molti bambini, sono morti sul colpo o per le ferite riportate, altri 66 sono ancora in ospedale. L’ennesima strage e la reazione militare turca pongono seri interrogativi sulla stabilità della Turchia.

La strage di Gaziantep è opera dell’Isis? Sì, secondo quanto sostengono gli inquirenti, benché sia ancora oscura l’identità dell’attentatore. Inizialmente si dava per scontato che fosse un bambino, letteralmente "manovrato" da due adulti che lo accompagnavano, il cui esplosivo sarebbe stato fatto detonare con un comando a distanza. Poi le autorità turche, fra cui il premier Yildrim hanno dichiarato di essere ancora all'oscuro su nome ed età dell'uomo-bomba. La matrice dell’Isis è molto probabile vista la vicinanza della Siria e l’importanza di Gaziantep, quale punto di raccolta di forze ribelli siriane impegnate contro il Califfato. Attualmente, nella città anatolica sono presenti circa 1500 miliziani siriani, pronti a prendere parte all’operazione di terra contro Jarabulus, una città posta sulla linea del confine turco e ancora nelle mani degli jihadisti. Insomma, l’attentato alla festa di matrimonio appare veramente come la prosecuzione della guerra civile in un altro paese. Quel che preoccupa è anche la successiva risposta militare turca al grave fatto di sangue.

Ieri l’artiglieria turca ha colpito postazioni dell’Isis nel Nord della Siria in vista dell’attacco a Jarabulus. La vicina città di Karkamis è stata addirittura fatta evacuare, per evitare che la sua popolazione possa essere coinvolta nella prossima battaglia. E fin qui è la parte più comprensibile della reazione. Ma l’esercito ha bombardato anche le postazioni curde dell’Ypg curdo a Mambij (la stessa strappata al controllo dell'Isis appena una settimana fa). Da un punto di vista strettamente militare, i turchi vogliono favorire la vittoria di milizie siriane loro alleate e tenere lontani i curdi da Jarabulus. Infatti non vogliono che l’Ypg riesca a consolidare la sua presenza al confine fra la Siria e la Turchia, perché temono che questo possa rinfocolare la lotta indipendentista dei curdi di casa propria, a partire da quelli del Pkk.

Da un punto di vista politico, però, il quadro si complica. I curdi sono la parte lesa, Nurettin Akdogan era un membro dell’Hdp, il partito di sinistra che rappresenta i curdi (e altre minoranze) in parlamento. L’Hdp, nelle ultime elezioni parlamentari, nella circoscrizione di Gaziantep si era piazzato al quarto posto con circa il 15% dei voti. La strage al matrimonio di un esponente del partito è un atto politico, oltre che terroristico. La risposta turca rivolta contro i curdi, oltre che contro i loro aggressori, aggiunge dunque un danno al danno. Spinge i curdi che hanno accettato le regole democratiche a sentirsi circondati, colpiti sia dal governo che dai terroristi. E questo proprio in un periodo in cui il Kurdistan è attaccato su tutti i fronti.

Dopo il fallito golpe militare del 15-16 luglio, la repressione di Erdogan si è scatenata soprattutto contro decine di migliaia di militari, poliziotti, magistrati, insegnanti e giornalisti ritenuti vicini al suo acerrimo rivale Fethullah Gulen. Anche il braccio di ferro con gli Usa e l’improvviso riavvicinamento con la Russia, si spiegano solo nell’ottica di un conflitto di potere fra Erdogan e Gulen, in esilio negli Usa e protetto da Washington, che non intende concedere l’estradizione (anche ieri è partita una richiesta ufficiale da Ankara). Ma la repressione può danneggiare i curdi, nonostante l’Hdp si sia immediatamente schierato contro il golpe militare, anche quando pareva che Erdogan fosse già in fuga. Escluso dal governo di unità nazionale dai primi giorni di agosto, il partito di sinistra è visto come una forza politica sospetta, in una zona grigia fra le formazioni che partecipano alla nuova “turchificazione” e i nemici dichiarati del nuovo corso: Pkk e gulenisti. Salahattin Demirtas, il leader dell’Hdp, si è unito al coro delle condanne del presunto complotto di Gulen, come ha ribadito anche lo scorso 30 luglio. Sarà sufficiente per provare la sua fedeltà a un Erdogan sempre più imprevedibile? Di sicuro gli eventi di questi ultimi tre giorni non promettono nulla di buono.