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Una rude e drammatica Passione nel santuario di Maria

Il  Santuario di Santa Maria della Neve a Pisogne (Brescia) è un edificio a navata unica a pianta rettangolare con presbiterio, abside, campanile, sagrestia e cappella esterna. Eretto nella seconda metà del XV secolo e gestito dall’ordine dei Disciplini, per i quali la meditazione sulla Passione era una regola di vita.  

Cultura 21_03_2015
Il santuario di Sanata Maria delle Neve a Pisogne

Edificio a navata unica a pianta rettangolare con presbiterio, abside, campanile, sagrestia e cappella esterna. É il Santuario di Santa Maria della Neve a Pisogne (Brescia), eretto nella seconda metà del XV secolo e probabilmente gestito dall’ordine dei Disciplini, per i quali la meditazione sulla Passione di Cristo rappresentava una basilare regola di vita.  

La facciata, semplice, a capanna, era in origine affrescata con una Danza Macabra, tema iconografico tardomedievale assai diffuso, per lo più correlato al Giudizio Universale ma anche al trionfo della Morte, solitamente rappresentata con uno scheletro armato di falce. Di questa pittura ora non c’è più traccia e sul prospetto della chiesa resta un portale in arenaria rossa, sormontato da una lunetta con la Madonna e il Bambino. Dissolta è anche la rappresentazione della Madonna dei Mestieri, un tempo raffigurata sul lato esterno nord.

Correva l’anno 1533 quando gli abitanti di Pisogne, cui apparteneva la chiesa, chiamarono il pittore bresciano Girolamo Romanino per commissionargli un grande ciclo sulla Passione, Morte e Resurrezione di Cristo. Romanino, che per Giovanni Testori fu «il più grande, più torvo e triviale dei pittori in dialetto dell'arte d'ogni regione e d'ogni tempo», realizzò qui il ciclo più significativo di tutta la sua carriera cui valse il titolo, sempre testoriano, di Cappella Sistina dei poveri. 

Sono grotteschi i visi, robusti e possenti i corpi dei personaggi che animano le scene che rivestono completamente, all’interno, la volta, l’arco trionfale, le pareti laterali e quella della controfacciata, sulla quale in una teatrale Crocefissione confluisce tutta la drammaticità dell’intera iconografia. Una turbolenta e consistente folla assiste alla scena in cui, in primo piano, Maddalena in vesti da contadina abbraccia, disperata, la croce mentre i soldati, da una parte, si giocano ai dadi le vesti del Cristo. Il dettaglio dei cani che si inseguono, nella sua banalità, contribuisce, qui, ad aumentare la veridicità dell’evento narrato, come accade nella scena dell’Ecce Homo dove due bambini si azzuffano per un litigio. 

Questo episodio è riportato nel registro più alto delle pareti laterali, accanto ad altri brani della Passione. Nella zona inferiore, incorniciati in riquadri rettangolari, sono dipinti altri momenti della Vita di Gesù. Carnose sibille e profeti in equilibrio precario, con i loro imperscrutabili cartigli, occupano lo spazio della volta, sfondandolo con le loro posizioni contorte e surreali, mentre sull’arco trionfale, disposte in una più canonica successione, l’Annunciata con l’Arcangelo Gabriele e il Padre Eterno tra angeli in volo accolgono il fedele nel  presbiterio.