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L'INIZIATIVA

Uno sciopero bianco contro il gender a scuola

Nicoletta Di Giovanni, esponente dell'associazione Rete Liberale e insegnante, ha promosso uno sciopero bianco contro l'introduzione del gender come materia di studio nelle ore scolastiche. "L’ideologia gender tende a sradicare la famiglia spiega la Di Giovanni alla NBQ - e, come la storia insegna, questo tentativo porta alla dittatura"

Educazione 07_06_2015
Nicoletta Di Giovanni

Il Pd ha introdotto un emendamento alla Buona Scuola che prevede l’introduzione dell’insegnamento, obbligatorio ovviamente, dell’educazione alla parità di genere. Di questo La Nuova Bussola Quotidiana aveva già parlato, ma pochi, fra insegnanti e genitori se ne rendono ancora conto. “Chi non è d’accordo pensa sempre che si tratti di una possibilità lontana. Un po’ come l’Isis, per fare un paragone azzardato: lo si pensa sempre come un qualcosa di lontano, di esotico, mentre è già qui. Anche la riforma segreta, che introduce l’ideologia gender come materia obbligatoria, appare lontana, remota, assurda, ma è già, di fatto, nelle nostre classi”. Così ci dice Nicoletta Di Giovanni, dell’associazione Rete Liberale, docente a Rieti in una scuola pubblica, autrice di un appello allo sciopero bianco, destinato a tutti gli “insegnanti liberi e forti, intrappolati dentro il recinto di una istruzione monopolista statale, a vigilare con lo strumento del consenso informato alle famiglie e, se del caso, a resistere come insegnanti obiettori e a battersi anche contro il triste affine ddl Cirinnà”. Ora l’anno scolastico è giunto alla sua ultima settimana, dunque lo sciopero bianco è un’iniziativa che dovrà necessariamente maturare durante l’estate e potrebbe scattare, volontariamente, il prossimo anno scolastico, quando le nuove disposizioni sull’insegnamento del gender a scuola diventeranno realtà. "E comunque - aggiunge Nicoletta Di Giovanni -  lo sciopero bianco è da me inteso come una resistenza nel tempo contro una imposizione che si ritiene ingiusta".

Professoressa Di Giovanni, come nasce l’idea dello sciopero bianco?

Nasce dal fatto che ho contatti quotidiani con molti professori e genitori e constato che la maggior parte di loro non sa nemmeno dell’esistenza di questo emendamento promosso dal Pd, non realizza che nell’introduzione stessa dell’emendamento troviamo la chiara intenzione di introdurre una rieducazione obbligatoria all’ideologia gender. La prima cosa che intendo fare è: farlo sapere. E spiegare cosa si celi dietro a un linguaggio così edulcorato. Nelle scuole si inizia a percepire una notevole pressione: si introducono libri e manuali gender, linee guida, si è spinti a enfatizzare tutti i temi che riguardano il gender. I miei colleghi non ci credono, ma l’agenzia Unar rilascia comunicati, prepara compendi, con cui diffonde direttive ben precise. Si inseriscono attività para-scolastiche, come le giornate delle differenze, quelle contro i pregiudizi, quelle sull’identità di genere.

Come è stato accolto l’appello per lo sciopero bianco?

Lo sciopero bianco è una proposta per l’immediato futuro. Il solo annuncio è stato colto con molta sorpresa, perché la maggioranza dei dissenzienti ha ormai un atteggiamento rassegnato. I colleghi più sindacalizzati sono andati in piazza, vestiti a lutto con un lumino in mano o di rosso vestiti a leggere un libro - a copiare le Sentinelle in Piedi che in tanti ignorano bellamente -  per molto meno rispetto a questo scempio della libertà. Adesso, i colleghi più consapevoli sanno che, una volta che queste direttive sul gender entreranno in vigore, avranno una possibilità per dissociarsi. Lo sciopero bianco è una resistenza quotidiana, rispettosa dei regolamenti e della legge, non implica azioni eclatanti, non prevede manifestazioni di piazza, non ferma il lavoro. Si tratta, di fatto, di applicare tutte le regole alla lettera.

Qual è la reazione dei sindacati?

I sindacati protestano contro la Buona Scuola per tutt’altri motivi, per le ragioni opposte, solo perché, evidentemente, la riforma va a intaccare qualche loro privilegio. La nostra protesta è antitetica alla loro. Le motivazioni che loro adducono sono quelle di una scuola sempre più pubblica, contro l’autonomia, contro la valutazione professionale. Ovviamente non abbiamo la loro potenza di fuoco mediatica, cerchiamo di fare il possibile con i pochi mezzi che abbiamo, ma remiamo nella direzione opposta. Stiamo anche rispondendo al tam tam “terroristico” sulla scuola diffuso sui social network dai sindacati.

Come distinguere un’educazione genuina contro la violenza e la discriminazione, da un indottrinamento gender?

Lo si capisce dal linguaggio e dai contenuti del materiale scritto. Il linguaggio, prima di tutto, che è quello della “lingua di legno” del politicamente corretto. E i contenuti: nei libretti che finora ci hanno proposto, come in quelli dell’Unar, ormai noti, è sempre presente il messaggio che la famiglia non è solo e non è sempre quella con mamma e papà, ma anche quella con due papà, con due mamme, la famiglia multi-colore, il tutto fatto passare come un qualcosa di già acquisito. E i genitori, praticamente, non hanno scelta, perché la scuola è quasi tutta monopolio di Stato. Quindi non ci sarà alcuna possibilità di sottrarsi a questo tipo di educazione. Il problema è che gli insegnanti non se ne rendono conto, pensano che si tratti di un falso allarme, che la protesta eventuale sia una cosa assurda.

Lei parla a nome di Rete Liberale. Ma spesso il liberalismo è visto come promotore dell’ideologia gender, o no?

No, è un’accusa che respingo direttamente al mittente. Io seguo il filone del cattolicesimo liberale che va da Rosmini a Don Sturzo fino a Dario Antiseri. Ma comunque non mi interessa neppure l’etichetta, mi interessa combattere contro il genderismo, che è la nuova incarnazione dello statalismo. Prima di tutto intendo difendere la libertà di insegnamento, che con questa riforma ci viene negata. Ma, soprattutto, si deve difendere la famiglia, che è l’ultimo baluardo della società aperta: mutuo soccorso, risparmio, auto-governo. L’ideologia gender tende a sradicare la famiglia e, come la storia insegna, nel tentativo di distruggerla si arriva sempre ad un regime dittatoriale, per il semplice motivo che per negare la natura ci vuole un grande potere, che solo le dittature posseggono grazie alla forza della legge.