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MAGISTRATURA

Vittoria di Davigo, trionfo del giustizialismo nel Csm

Il vento anti-sistema sembra soffiare con vigore anche sulle toghe. Nelle elezioni del Csm ha vinto Piercamillo Davigo, reso celebre negli anni 90 dall'inchiesta Mani Pulite e ora ritenuto molto vicino all'area del Movimento 5 Stelle. Sconfitti i candidati di Area, corrente del centrosinistra, che finora erano in maggioranza. 

Politica 13_07_2018
Piercamillo Davigo (a sinistra) con Antonio Di Pietro: gli uomini simbolo di Mani Pulite

Il vento anti-sistema sembra soffiare con vigore anche sulle toghe. Le elezioni per il Consiglio superiore della magistratura (Csm) hanno dato esiti prevedibili ma con dimensioni inaspettate. Il trionfo di Piercamillo Davigo, della corrente “Autonomia e indipendenza”, oggi Presidente di sezione in Cassazione, primo degli eletti con il 33,51% dei voti, è il segnale più eloquente del “new deal”. Un magistrato su tre ha infatti dato credito ai proclami anti-casta di Davigo, considerato molto vicino al Movimento Cinque Stelle, tanto che durante la campagna elettorale il suo nome circolava anche per ruoli di governo.

Seconda eletta è risultata Loredana Miccichè, di Magistratura Indipendente, corrente di destra. Restano fuori i candidati di Unicost, la corrente di centro della magistratura e soprattutto di Area, il cartello che rappresenta i gruppi di sinistra, che fino a ieri era in maggioranza. Lo spoglio riguardava i due posti destinati ai magistrati della. L’ex pm di Mani Pulite ha ottenuto 2522 voti, ripetendo l’exploit di due anni fa alle elezioni dell’Associazione nazionale magistrati. I magistrati hanno votato sabato e domenica per rinnovare la componente togata del Csm, mentre giovedì 19 luglio ci sarà la prima seduta del Parlamento per eleggere gli 8 componenti laici. Anche li’ sono previsti scossoni. Il Movimento Cinque Stelle dovrebbe eleggerne tre, di cui uno sarà vicepresidente. Alla Lega ne spettano due (ma il Carroccio dovrebbe ottenere un posto alla Consulta). Il Pd ne avrà due, mentre a Forza Italia ne dovrebbe spettare uno.

Ma al di là dei numeri, che pure fotografano un quadro completamente ribaltato rispetto ai 4 anni del Csm uscente, dominato dalle correnti di sinistra, emergono con forza alcuni temi che hanno certamente contribuito a scardinare l’assetto esistente e a disegnare equilibri nuovi tra le toghe. Ad esempio, che peso hanno avuto sull’esito del voto per il Csm le parole del Sottosegretario leghista alla Giustizia, Jacopo Morrone, che aveva auspicato la fine di tutte le correnti a partire da quelle di sinistra? Le polemiche degli ultimi mesi sulle derive correntizie all’interno della magistratura e sulla lottizzazione delle nomine hanno certamente inciso nell’orientare in una certa direzione il consenso dei votanti.

Per Autonomia e Indipendenza, il raggruppamento di Davigo, le elezioni per il Csm costituiscono un test importante. Attualmente quella corrente ha  un solo rappresentante a Palazzo dei marescialli, Aldo Morgigni, che era stato eletto però con Magistratura Indipendente, la corrente che negli ultimi anni ha avuto come riferimento l’ex Sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri e da cui Autonomia e Indipendenza è nata con una scissione. "È un voto che esprime un’enorme voglia di cambiamento nella gestione dell’autogoverno", ha commentato il coordinatore di Autonomia e Indipendenza, Alessandro Pepe, anche lui candidato in queste elezioni per la quota giudici.

Ma oltre alle divisioni tra correnti e alla lottizzazione degli incarichi, sul tavolo c’è anche il tema delle incompatibilità e delle cosiddette “porte girevoli” tra magistratura e politica. Si tratta di patologie che tolgono credibilità ai magistrati e inficiano alla radice il concetto di terzietà insito nella loro figura, oltre che alimentare sospetti di carrierismo. Su questo punto il Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede è stato molto esplicito: "Nella scorsa legislatura persone degnissime hanno fatto un salto dal governo in carica direttamente al Csm; non si era mai visto. E anche su questo ci sarà ora discontinuità". Il riferimento del Guardasigilli è all’attuale vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini, che era sottosegretario nel  governo Renzi quando venne eletto membro laico di Palazzo dei marescialli. In tal senso, però, Bonafede ha precisato di non avercela affatto con Legnini, che dice di apprezzare, bensì di voler combattere una prassi pericolosa che rischia di far saltare il confine tra i diversi poteri dello Stato.

Sempre in materia di improvvide commistioni tra poteri dello Stato va ricordato che qualche giorno fa la Corte Costituzionale ha fissato paletti molto chiari, a partire dal cosiddetto “caso Emiliano”, stabilendo che il divieto di iscrizione dei magistrati ai partiti politici è legittimo. L’attuale governatore pugliese, Michele Emiliano, è magistrato in aspettativa da 12 anni in quanto eletto con il Partito democratico prima come sindaco di Bari, poi come presidente della Regione Puglia. La Corte costituzionale, si legge in una nota, "ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale riguardanti l’illecito disciplinare che vieta l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa dei magistrati a partiti politici". La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Consiglio superiore della magistratura. Secondo il Csm la norma dell’ordinamento giudiziario riguardante le sanzioni disciplinari per le toghe che, durante il periodo di fuori ruolo, svolgono attività in un partito politico, poteva violare alcuni articoli della Costituzione. La Corte Costituzionale ha invece confermato la legittimità della norma sulle sanzioni.